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“Dalla stessa parte mi troverai” di Valentina Mira – Premio Strega 2024

di Giorgia Pizzillo

Valentina nel 2008 ha sedici anni e nel tragitto verso casa, di ritorno dall’appuntamento con l’estetista, si ritrova impantanata nel traffico di un accrocchio di gente vestita di nero e con la testa rasata, assieme ad un po’ di giornalisti. Sono perlopiù uomini, giovani e vecchi, e poche donne. La folla marcia in un corteo e si raduna tutt’intorno all’enorme croce celtica nera che sovrasta il quartiere, visibile tutt’ora persino su Google Maps. Una voce maschile si erge sulle altre e urla: “Camerati, aaaaattenti!”, a cui segue, come in una coreografia perfettamente a tempo, la risposta di braccia destre ritte, puntate verso il cielo che rispondono ad eco un deciso e forte: “Presente!”.

È la prima volta che Valentina si rende conto che ciò che pensava appartenesse ad un passato relegato ai libri di storia e ai racconti di voci lontane è, in realtà, ancora vivo ed è persino motivo di celebrazione alla luce del sole, lì a due passi da dove è cresciuta. Quel giorno è il 7 gennaio e come ogni anno, lì dove vi era la sede del Movimento sociale italiano, si radunano centinaia di fascisti per commemorare l’uccisione di tre militanti. Allora, era il 1978. Un gruppo di militanti neofascisti esce dalla sezione di via Acca Larentia e vengono colpiti da una scarica di spari: due di loro, Francesco Ciavatta e Franco Bigonzetti, vengono ammazzati. Subito dopo, accorrono esponenti neofascisti e di estrema destra da tutte le parti e viene organizzata una manifestazione. Vi sono degli scontri con la polizia nel corso dei quali viene ucciso un altro militante neofascista, Stefano Recchioni.

Erano i cosiddetti “anni di piombo”, e queste sono cose che succedono anche a chi, di solito, è il primo ad uccidere. I carnefici che, talvolta, diventano anche vittime. Ma la storia che racconta Valentina Mira in “Dalla stessa parte mi troverai” è, prima di tutto, una storia d’amore, inevitabilmente instillata e mischiata con l’odio e la violenza di quel periodo.

Rossella ha quindici anni e fa politica nel collettivo femminista di via Ripetta. Un giorno, con la sua amica Laura va alle case occupate del quartiere di Tor Pignattara ed è qua che incontra un ragazzo dai “baffetti orrendi”: si chiama Mario Scrocca. Lui cresce sulla Casilina, alla borgata Alessandrina: un’area di periferia popolare che non dispone di molti servizi. Mario e i suoi compagni, con i “banchetti rossi” fanno attività di volantinaggio e lotta per tutto ciò che di pratico e basilare manca nel loro quartiere: a partire dai marciapiedi, al rincaro dei beni primari e ai loro coetanei o ai ragazzi ancora più piccoli che sono costretti a lasciare gli studi per andare a lavorare e sostenere economicamente le loro famiglie. Rossella e Mario si innamorano: il loro è un amore profondamente intriso di lotta e di giustizia.

Tre anni dopo, vanno a convivere e dopo diversi anni di lavoretti a nero qua e là, Mario segue un corso per diventare infermiere. Vuole rendersi utile, continuare ad aiutare la gente e lo fa con la volontà di chi prova rabbia per essere nato in una classe sociale costretta a piegarsi ad un lavoro che l’ammazza, pronto a ribaltare tutto.

Nel 1984, Rossella rimane incinta e nasce Tiziano. Tuttavia, lo stesso anno, l’amore, il latte, si mischiano con il sangue con il quale Roma, come Mira ci racconta nel libro, è stata inevitabilmente forgiata ed è grazie alla commistione dei due fluidi che esiste tutt’oggi. Dopo l’arresto di Livia Todini, un’esponente dell’organizzazione della sinistra extraparlamentare Prima Linea, questa si pente e tutto crolla. In accordo con le forze di polizia, fa dei nomi e rivela dettagli con l’obiettivo di smantellare tutto ciò che rimane di irrisolto o discordante di quegli anni, a partire da quando è entrata a far parte del collettivo militante.

Racconta di essere stata, all’età di quattordici anni, in una delle abitazioni occupate di Tor Pignattara assieme al suo ragazzo dell’epoca, di dieci anni più grande di lei. Racconta di quando, proprio in queste case occupate, si è trovata ad ascoltare una riunione indetta per decidere la grafica di un timbro che avrebbe dovuto simboleggiare i volantini di una nuova formazione: i Nuclei armati per il contropotere territoriale, che nell’assalto della sede del Msi del 1978, rivendicano l’atto. Dice che alla riunione, oltre a lei e al suo ragazzo, era presente un ragazzo riccio e moro che si chiama Mario. È pressocché patetico che ci si basi su questa misera descrizione, così generica e che potrebbe coincidere con il profilo di una miriade di ragazzi di Roma, per accusare Mario Scrocca e per arrestarlo, ma è ciò che succede qualche anno dopo.

Nel 1987 vengono emessi dei mandati di cattura per persone a conoscenza e coinvolte nei fatti di Acca Larentia: uno di questi è proprio per Mario. Nel bel mezzo della notte, un manipolo di poliziotti irrompe nell’abitazione di Rossella e Mario, questi viene portato a Regina Coeli il 30 aprile per essere interrogato, ma il giorno dopo è il 1° maggio, ed è festa, poi seguono il sabato e la domenica che sono ancora festivi e l’interrogatorio di Mario viene rimandato al lunedì: non finisce mai. Allora Mario deve rimanere in carcere, in isolamento, fino a quando non viene ascoltato fino alla fine.

L’avvocato spiega a Rossella come questa dinamica sia parte di una strategia largamente usata dalle forze dell’ordine: rinchiudere in carcere una persona per più giorni è una coercizione violenta che ha, genericamente, conseguenze più efficaci sull’interrogatorio. Dopo circa ventiquattro ore, nel bel mezzo della notte, il telefono di Rossella suona e rimbomba nel silenzio della casa: sono i carabinieri. Mario si è ammazzato, si è impiccato, in una cella anti impiccagione sorvegliata a vista del carcere di Regina Coeli.

Il mondo di Rossella crolla, le manifestazioni imperversano. Viene aperta un’inchiesta, ma lo Stato decide che Mario si è suicidato, nessuno di esterno è responsabile per la sua morte. Certo, è possibile aprire un’altra inchiesta, ma a questo punto sarebbe a spese del richiedente. E allora, in casi come questi, non si può parlare di scelte deliberate: a volte, le decisioni non sono solo frutto del proprio libero arbitrio e della propria volontà, ma bisogna mettere in conto ciò che rimane della propria vita, la salvaguardia della propria pace, quella di un bambino ancora piccolo, e l’eventualità di mettere in vendita tutto ciò che si ha contro uno Stato che dichiara tuo marito morto a priori, contro una giustizia che, seppur debba essere la base di ogni vita che merita di essere vissuta dignitosamente, è un privilegio e un lusso che non tutti possono permettersi di pagare, soprattutto se il prezzo in ballo è la propria vita.

Valentina Mira scrive di Mario Scrocca e della sua storia, che assieme a tante altre finite nel dimenticatoio, sconosciute ai più, sono una celebrazione e inno al suo antifascismo. È grazie all’incontro con persone come Rossella che Valentina rimette tutti i tasselli insieme e riesce ad uscire dalla dimensione pervasiva e viscida di “fascismo dentro e intorno” a sé. La storia contemporanea che viene insegnata tra i banchi di scuola, è mossa, parzialmente, dal desiderio di voltare pagina e di gettare nell’oscurità ogni lato dei burrascosi anni di piombo, con il tentativo di creare una memoria collettiva che sia unita dal perdono e dall’accondiscendenza di quegli anni.

Valentina Mira rompe questo schema di apparente serenità, e di pacificazione e ci ricorda proprio da che parte bisogna trovarsi, ovvero la parte di chi ha ragione, di chi è nel giusto, che non è sempre coincidente con la versione scritta nelle pagine di storia o dai mezzi di informazione mainstream, che spesso e volentieri rilega all’oblio tutte le vittime che meritano di essere ricordate. Le loro storie servono a fornire una barriera spessa e forte di anticorpi, sono degli strumenti necessari e utili in questo periodo storico in cui l’Italia è governata da esponenti di destra più che mai, per costruire una coscienza storica, ideologica e politica che funga da scudo contro ogni altro abuso.

È un libro fondamentale, che ci ricorda come il fascismo non sia, nostro malgrado, soltanto una triste pagina del programma scolastico da passare in rassegna blandamente, ma ovunque: nei silenzi, negli assoggettamenti, nel populismo, persino, e soprattutto nel nostro governo. E per questo bisogna tendere le orecchie, e avere gli occhi aperti. Leggere, ascoltare, informarsi e andare alla ricerca delle storie che sono state sotterrate sono degli atti di resistenza che bisogna rivendicare.


Dalla stessa parte mi troverai – Valentina Mira – Libro – SEM – Italian tabloid | Feltrinelli (lafeltrinelli.it

https://www.illibraio.it/news/editoria/valentina-mira-premio-strega-2024-1453844

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Giorgia Pizzillo

Redattrice di letteratura