“Come d’aria” di Ada D’Adamo- Premio Strega 2023
“Come d’aria” di Ada d’Adamo, autrice scomparsa lo scorso primo aprile, pochi giorni dopo essere stata selezionata nella dozzina del Premio Strega, è uno di quei libri che difficilmente si dimenticano. “Come d’aria” è il racconto dell’amore che lega l’autrice alla figlia Daria, nata con una disabilità gravissima e non diagnosticata prima del parto per via di un errore medico. Nel libro, diario autobiografico e fedele reportage di cosa significhi essere genitore di un figlio disabile, paura, coraggio, solitudine e consapevolezza si intrecciano nel racconto di una vita, o meglio, di due vite, quella di Ada e quella di Daria, che finiscono per abbracciarsi e fondersi in un’esistenza che rifiuta di cedere sotto il peso del tempo, della malattia e della morte.
Una mamma non-coraggio: quando la possibilità di scegliere viene negata.
“Non mi sentivo, e non mi sentirò mai, una “madre coraggio”, e sapevo che solo una mancata diagnosi prenatale mi divideva dal branco di quelle considerate egoiste, infami, omicide”
Ada d’Adamo,“Come d’aria”, Elliot, 2023, p.39.Ada d’Adamo è sincera, schietta e incredibilmente cruda nel raccontarci cosa significa scoprire di avere una bambina affetta da una disabilità grave e invalidante. Nelle sue parole non c’è neanche l’ombra del tentativo di leggere in chiave provvidenziale o deterministica ciò che le è accaduto: Daria non è “un dono di Dio”, come spesso vengono chiamati i bambini disabili, ma il frutto sfortunato di una diagnosi che non è stata fatta per tempo. L’autrice non ha scelto di portare questa croce, le è stato imposto, e non ha problemi ad ammettere una delle verità più difficili da ascoltare, soprattutto se detta da una madre : “… se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico” (“Come d’aria”, p.37). Quando le viene comunicato l’esito degli esami a cui hanno sottoposto la neonata, Ada reagisce dissociandosi totalmente dalla realtà: abbandona per un momento il proprio corpo, per guardarsi dall’alto, come attraverso una telecamera di sicurezza. Tornata in sé, non può non pensare che quella sia una beffa del destino: lei, ballerina e da sempre abituata all’armonia e alla bellezza dei movimenti, si trova ora a doversi prendere cura di un corpo disarmonico, incapace di stare in posizione eretta e costantemente percorso da spasmi e contrazioni muscolari, unico modo, forse, in cui Daria riesce ad urlare tutta la sua rabbia contro il mondo. Il senso di solitudine che traspare dalle pagine del libro è molto forte: il ginecologo che l’ha seguita durante la gravidanza non risponde alle chiamate (né mai lo farà), le infermiere decidono di spostare madre e figlia in una camera più defilata, i medici non sanno fornire informazioni soddisfacenti, limitandosi a dire che “…questa le farà passare dei guai” (“Come d’aria, p.45). Ada è sola con i propri sensi di colpa, la paura di non essere all’altezza di un compito così difficile, e il totale spaesamento verso una condizione clinica di cui non sa nemmeno pronunciare il nome; a poche ore dalla nascita della sua bambina, mentre le altre madri gioiscono e provano orgoglio per i propri bambini perfetti e in salute, non può fare altro che chiedersi una cosa soltanto : “Perché proprio a me? [….] “Che cosa ho fatto per meritarmi questo?” (“Come d’aria”, p.45).
“La mamma di Daria: confondersi nell’altro”
Il lettore che abbia una minima di dimestichezza con questo genere di storie si aspetterebbe ,a questo punto, una specie di racconto epico-celebrativo di come l’autrice abbia trovato la forza di reagire e combattere per la propria bambina, ma nulla di tutto ciò si trova nelle pagine scritte dalla D’Adamo. Ada reagisce, sì, ma lo fa nel modo più umano e realistico che si possa immaginare: inizia un lungo percorso che alle volte la vede pronta a combattere contro medici inadeguati, burocrazia vergognosa, e ostacoli quotidiani, altre volte, invece, la vede triste e depressa, con la voglia di andare a dormire e non svegliarsi mai più.
“Quando hai un figlio disabile cammini al posto suo, vedi al posto suo, prendi l’ascensore perché lui non può fare le scale, guidi la macchina perché lui non può salire sull’autobus. [….] E a poco a poco, per gli altri, finisci con l’essere un po’ disabile pure tu: un disabile per procura. […] Non sono io, sono “la mamma di Daria”.
Ada d’Adamo, “Come d’aria”, Elliot, 2023, p.39.La storia che ci viene raccontata è dolce e malinconica e vede protagonista una madre che stabilisce con la propria figlia un legame profondo e totalizzante, ponendo noi lettori davanti ad una vera e propria perdita di identità: Ada abbandona i propri panni di ballerina, scrittrice e donna, diventando semplicemente “la mamma di Daria”.
“Essere d’aria”: perdersi nell’altro.
La d’Adamo non resterà “solo la mamma di Daria” a lungo: quella che inizialmente sembrava una semplice contrattura alla schiena si rivela essere un cancro metastatico al seno. Come il giorno in cui è nata la figlia, l’autrice si ritrova ancora una volta a dissociarsi dalla realtà, guardando da fuori quel corpo che ora sente come il peggiore dei traditori. La diagnosi, che di per sé sarebbe dura da accettare per qualsiasi donna, lo è ancora di più per chi ha una figlia disabile: Ada, che con Daria ha sempre avuto un rapporto prevalentemente fisico, fatto di “… pelle da sfiorare, lacrime da asciugare, pancia da massaggiare, piedi da riscaldare…” (“Come d’aria”, p.28), sente che l’incastro tra i loro corpi non è più possibile. Daria cresce, diventa donna, pur restando immobile; Ada appassisce lentamente, intrappolata in un corpo che diventa sempre più rigido e difficile da gestire, pur continuando a muoversi. Ancora una volta, però, la d’Adamo non si arrende, e lo fa raccontandoci con brutale sincerità la condizione invalidante che ora è la sua: tra il viso gonfio per il cortisone, le perdite di memoria per la terapia antiormonale e la caduta dei capelli per la chemioterapia, l’autrice ritrova la propria identità di ballerina, nonostante un corpo sempre più difficile da gestire, e donna, nonostante una femminilità sempre più offuscata dagli effetti collaterali delle cure.
“Se volevo guarire tu non potevi essere più il mio centro, dovevo spostarmi, riposizionarmi altrove. Per sopravvivere dovevo trovare un centro mio, la cura di me”
Ada d’Adamo,“Come d’aria”, Elliot, 2023, p.29.
Ada, però, non smette di essere “la mamma di Daria”: nelle ultime pagine del libro l’autrice, ormai consapevole di essere terminale, descrive come proprio la malattia l’abbia avvicinata ancora di più alla figlia, facendole sperimentare in prima persona quei limiti del corpo che prima toccava e osservava in Daria, e che col tempo ha finito per incorporare. Le esistenze di Daria e di Ada si assimilino e si perdono l’una nell’altra, cristallizzate in una storia d’amore fatta “d’aria”, che conosce ostacoli, cadute e malattia, ma di certo non la morte.