“Chi dice e chi tace” di Chiara Valerio – Premio Strega 2024
Chi dice e chi tace (Sellerio, 2024) è l’ultimo romanzo dell’attivista, matematica e scrittrice, Chiara Valerio, proposto da Matteo Motolese per la LXXVIII edizione del Premio Strega.
Fin dalle prime pagine, il romanzo sembra portare il lettore all’interno di una narrazione di stampo investigativo e poliziesco. L’intreccio si sviluppa infatti a partire da una terribile notizia, ricevuta da Lea, avvocatessa di Scauri: una sua compaesana e amica, Vittoria, è stata trovata, senza vita, nella sua vasca da bagno. Una morte, la sua, alquanto strana da accettare come accidentale, soprattutto per una donna che nella vita aveva sempre nuotato. Sembra piuttosto trattarsi di un contrappasso, o di uno scherzo del destino.
Ma le coincidenze, nel mondo in cui vive Lea, non esistono: sarà infatti la donna a tessere le fila del caso, mossa dall’impossibilità di accettare l’atroce banalità che si cela dietro ad un “incidente domestico”. Le indagini di Lea la portano da un lato a ricostruire la vita privata di Vittoria, dall’altro, a interrogarsi sulla propria sessualità. Riemergono quindi temi ben cari a Chiara Valeri che torna a chiamare in causa i dibattiti sulla categorizzazione delle differenze tra maschio e femmina, sul classismo, sulla mobilità di status sociale e politico.
Eppure viene quasi il dubbio che, togliendo al romanzo questi sparpagliati richiami a tematiche calde per la nostra contemporaneità, non rimanga altro che una trama spoglia, capace di parlare infondo solo di amore, in ogni sua declinazione.
Scauri: la monotonia del paese
Sfondo delle vicende narrate all’interno romanzo, Scauri è uno dei principali riferimenti autobiografici che Chiara Valerio colloca all’interno della sua opera: il paese, situato a sud del Lazio è un piccolo ecosistema abitato da sessanta mila anime nei mesi invernali e cento mila nella stagione estiva. Un luogo talmente familiare all’autrice che diventa un protagonista fondamentale della storia, animato dallo stesso spirito vitale con cui Calvino descriveva le sue Città Invisibili. Tra il paese e la protagonista si stabilisce la contrapposizione che dà il titolo al romanzo: Lea “dice”, Scauri “tace”. Di fronte alla morte della morte di Vittoria, Lea si interroga in continuazione sulla verità. Il paese invece “non la capisce, eppure si sente attratto da lei. Vittoria viene ritrovata morta nella vasca da bagno, uno stupido incidente, una fine improbabile. Il paese accetta, perché sa capire le disgrazie e tace, Lea Russo invece no.”
Nella descrizione di quel determinato contesto sociale si avvertono subito le dinamiche di noia, di vuoto, di senso di isolamento tipiche di una realtà ristretta come quella di un paese. Riprendendo le parole di Chiara Valerio, il paese è infatti “il posto dove tutti sanno tutto di tutti. Era tornato l’odio che provavo per Scauri da ragazza, una sensazione di mancanza d’aria, mi sentivo in prigione.” Attraverso questa premessa essenziale Chiara Valerio vuole lasciare agli abitanti di Scauri la possibilità di decidere se dire o tacere, se ribellarsi o conformarsi, se rivoltarsi alla noia o abbassare la testa per non creare scandalo.
I richiami ai temi sociali: non sempre arricchiscono il contenuto
La partecipazione politica dei protagonisti è ben presente e definita tra le pagine del romanzo: l’iscrizione di Lea e il marito Luigi al partito comunista diventa l’occasione per introdurre piccole digressioni su quelle differenze di status sociale molto dibattute nella nostra contemporaneità.
“I soldi allontanano più degli oceani. Portando il discorso ancora oltre, si potrebbe sostenere che l’unica differenza di una specie che non ha razze, la nostra, sia la classe sociale. I soldi più del colore della pelle, più dell’orientamento sessuale, più del credo religioso. ”
“Eravamo povera gente, per usare un’espressione della madre di Luigi, e Vittoria no. Mi chiedevo cosa pensasse di noi. Forse, visto che Mara era della nostra specie, le piacevamo. Ci aveva scelto. Aveva voluto sedurci tutti. Ma perché?”.
Citazioni come queste, però, non proseguono oltre a se stesse. Le tematiche sociali non vengono mai approfondite quanto servirebbe per diventare temi rilevanti nella vicenda né una parte integrante della narrazione. L’unica sensazione che riescono a trasmettere è la necessità di rimarcare a tutti i costi l’impegno sociale dell’autrice. In altre parole, un modo per rendere riconoscibile la penna di Chiara Valerio in una storia altrimenti scialba.
Un altro cavallo di battaglia dell’autrice rimane la distinzione di genere.
“Giulia aveva rubato la Barbie coi capelli corti, l’aveva fatta salire sulla sedia, mimando un’arrampicata su uno spago da arrosti a mo’ di fune che inizialmente non avevo notato, e le aveva fatto baciare la Barbie con i capelli lunghi che stava su un materasso di presine della cucina. Poi aveva sorriso raggiante e aveva comunicato Abbiamo Ken. La Barbie coi capelli corti è maschio.”
Anche in questo caso il tentativo di lasciare la propria impronta sfocia in un accenno isolato, di superficie. Di fatto, la componente sociale di Chi ride e chi tace sembra non essere all’altezza della forte identità della sua autrice.
Lea e Vittoria: l’attrazione non è conoscenza
Il titolo “Chi dice e chi tace”, oltre ad alludere alla contrapposizione tra Lea e il paese di Scauri, fa riferimento alla naturale constatazione che ogni essere umano, allo stesso tempo, rivela e cela qualche sfumatura della propria persona sia a se stesso che agli altri. Il romanzo ribadisce così l’evanescenza dell’identità e le difficili ma inevitabili trame nascoste che intrattengono tutte le relazioni interpersonali. Tali dinamiche si colgono nei vari confronti che Lea sostiene durante l’indagine e che, guardando al proprio rapporto con Vittoria, svelano sentieri mai esplorati.
Così Lea realizza, nonostante l’attrazione latente provata per Vittoria, di non averla conosciuta affatto. proprio al funerale di Vittoria, Lea si accorge di non conoscerla davvero: non conosce il suo cognome, né le dinamiche interne al suo passato matrimonio; le enigmatiche origini altolocate della donna, che rendono la sua permanenza a Scauri una scelta di vita al di sotto delle sue possibilità, oltre che gli studi di medicina continuati all’estero. Ma, soprattutto, rimane un mistero la sua vita sentimentale di cui, Vittoria, non parlava mai. L’unica certezza di Lea era l’attrazione provata nei confronti di questa figura incomprensibile: “Di Vittoria, insomma, nonostante l’allegria, nonostante la confidenza che tutti sentivamo con lei, sapevamo ciò che vedevamo.”
L’attrazione non è conoscenza: questa sembra essere la chiave interpretativa più adatta a descrivere il rapporto che intercorre tra le due protagoniste. Certo, il fascino esercitato da un altro essere umano può diventare una calamita, in grado di attrarre e portarla più vicino all’Io, alimentando così la percezione di conoscerla e di esserle vicino: sicuramente una parte del rapporto tra le due donne si nutriva di questa magia.
Chiara Valerio colloca così il lettore in una posizione interrogativa e indagatoria non solo nei confronti del romanzo, ma anche nei confronti della vita reale, spingendolo a chiedersi se, infondo, si può dire di conoscere tutte quelle persone con cui, quotidianamente, si trascorrono le giornate, o, ancora peggio, quelle con cui si trascorre passato un’intera vita. A partire da ciò, si sollevano riflessioni riguardanti la fondamentale matrice dell’amore, attraverso lo sguardo di diversi personaggi: l’amore è dunque abitudine (come sostiene Mara), oppure è una semplice convenienza dettata dal contesto, dall’affetto, dalla volontà di possesso, dal senso del dovere, dal fascino, dalla seduzione, o addirittura dall’illusione?
Chi dice? Chi tace?
A volte l’interpretazione di un’opera può valicare i limiti stabiliti dall’opera stessa. Sebbene Chiara Valerio lasci pochi spunti per tracciare una lettura universale e generalizzata dell’opera, si potrebbe giocare a creare sul romanzo una lettura allegorica.
Vittoria potrebbe essere considerata come l’incarnazione di una verità assoluta, quella che ogni essere umano cerca. Lea, invece, rappresenterebbe il disperato tentativo dell’umanità di capire qualcosa del mondo, della vita, di sé e di questa presunta verità. Proprio come agisce chi è mosso dalla speranza nell’esistenza di un Assoluto, qualcosa di vero e conoscibile, Lea non si arrende davanti alle risposte parziali che incontra durante la ricerca, perché il suo bisogno di certezze è più forte degli ostacoli che la oscurano.
Per non incorrere nel rischio di rimanere incatenati in un relativismo imperante, l’unica strategia corretta per avvicinarsi il più possibile a Vittoria, cioè alla Verità, è il metodo di indagine perpetuato da Lea: interrogarsi e interrogare più punti di vista possibili, aprirsi al diverso, mettersi in ascolto e mettere in dubbio tutto, non accontentarsi dell’apparenza, essere chi dice in un mondo che tace. Sotto questa luce, l’indagine di Lea non è solo parte della storia di un individuo che vuole scoprire il motivo della scomparsa di un’amica, ma può essere estesa ad una metafora dell’esistenza: la vita, il movimento, l’indagine, la scoperta di sé. Essa inizia quando la Verità muore, quando muoiono le certezze apparenti e precostituite.