“Mi sono beccato la guerra nella testa”. Il romanzo inedito di Céline
Con l’uscita di Guerra nel catalogo Adelphi, il pubblico letterario italiano viene reso partecipe, attraverso la traduzione firmata da Ottavio Fatica, di uno degli accadimenti letterari più rilevanti del terzo millennio: il ritrovamento e la pubblicazione degli inediti celiniani scomparsi nel 1944.
Dopo lo sbarco in Normandia degli Alleati, la Seconda Guerra Mondiale arriva ad un nodo cruciale, in primis per gli abitanti della Francia settentrionale, occupata da quattro anni dalle truppe tedesche. Louis Ferdinand Céline è tra gli scrittori più in vista del momento e, seppur non abbia fiancheggiato il regime collaborazionista di Pétain con la coerenza ideologica di Drieu-La Rochelle (suicidatosi nel 1945) o di Brasillach (giustiziato per collaborazionismo nello stesso anno), è nel mirino della Resistenza e degli intellettuali antifascisti. Per evitare l’arresto e la più che probabile esecuzione, il dottor Destouches (il vero cognome di Céline), che aveva continuato a esercitare come medico anche durante la guerra, abbandona in fretta e furia il suo appartamento di Montmartre dopo il bombardamento degli Alleati; al suo fianco la moglie Lucette Almansor e il gatto Bébert.
Nell’appartamento di rue Girardon irrompono le bande partigiane (una delle quali si riuniva, mai denunciato da Céline, nell’appartamento sottostante) e, insieme agli averi dei coniugi, spariscono alcune migliaia di pagine manoscritte dell’autore. Louis-Ferdinand stesso, in Pantomima per un’altra volta (1952) denuncia il furto (e secondo lui la distruzione) del manoscritto completo di Casse-pipe (uscito mutilo nel 1949), di una stesura di Guignol’s Band (progetto incompleto in più volumi di cui uno pubblicato nel 1944 e il secondo, postumo, nel 1964) e del misterioso Krogold, già familiare ai lettori celiniani dal 1936, in quanto costituisce il testo a cui l’io narrante di Morte a Credito sta lavorando prima di lanciarsi nella narrazione allucinata propria infanzia nel passage parigino che domina questo capolavoro. Le carte autografe vennero date per perse anche dalla moglie Lucette (deceduta a 107 anni nel 2019) la quale, rievocando la rocambolesca fuga verso la Germania, in anni più recenti confermò il contenuto presunto dei manoscritti e ne profetizza la ricomparsa dopo la propria morte.
Nel 2021 viene resa pubblica la notizia dell’esistenza dei manoscritti, consegnati da un anonimo a un giornalista di Libération anni prima, con la promessa che non sarebbero stati pubblicati con la vedova o gli eredi dello scrittore in vita. Al netto di alcune controversie sulle circostanze del ritrovamento e le sempreverdi polemiche che circondano la complessa eredità celiniana, i lettori non possono che essere entusiasti della celerità con la quale Gallimard ha reso disponibili i testi, affidandosi a esperti di prim’ordine per la decifrazione e sistemazione critica degli inediti.
In Francia sono già disponibili Guerre (2022), Londres (2022), La Volonté du Roi Krogold (2023); in preparazione la versione integrata dai corposi inediti di Casse-pipe, tutti riconducibili alla produzione anni trenta, tra la pubblicazione di Viaggio al termine della notte (1932) e quella di Bagatelle per un massacro (1937), che sancisce l’inizio della parabola di tre libri politici atti a scongiurare l’entrata in guerra della Francia con i quali Céline si macchia di antisemitismo, a onor del vero ampiamente diffuso nella prima metà del secolo tra molti intellettuali che non hanno però subito la damnatio memoriae tributata a questo autore. Da lì in poi Céline sarà un autore in fuga, sarà incarcerato per due anni in Danimarca e poi amnistiato finché, ormai fisicamente indebolito, si traferirà a Meudon, sobborgo parigino dove condurrà un’esistenza ritirata e rancorosa fino alla morte, il giorno del completamento del suo ultimo romanzo, nel 1961. La nota nera di onta e imbarazzo sulla figura del grandissimo prosatore pacifista, anticolonialista, espressionista, forse nichilista ma – a suo modo – profondamente umanista che è stato Louis-Ferdinand Céline lo rende tuttora una figura comprensibilmente scomoda per editori e intellettuali, divisi sulla posizione da prendere nei riguardi dell’autore e della sua Opera.
Guerra è il primo degli inediti ad essere tradotto per Adelphi e il terzo volume dell’autore ad apparire nel catalogo della casa editrice milanese (dopo Il Dottor Semmelweis e Lettere alle amiche). Questo breve romanzo, o meglio, questa stesura non rifinita di un’opera mai completata, si inserisce nell’orizzonte temporale tra Casse-pipe (nel quale si racconta l’arruolamento di Ferdinand e alcuni episodi frammentari di vita militare, nel 1914) e Guignol’s Band (dove il ventiduenne protagonista si trova a Londra, reduce dalle ferite di guerra subite in una missione di collegamento).
Ancora acerbo stilisticamente ma dotato di una forza incontenibile, Guerra è, soprattutto nelle sue memorabili pagine iniziali, un turbine espressionista che evoca l’episodio del ferimento di Ferdinand a causa di un’esplosione. Finalmente si può leggere la rielaborazione letteraria dell’evento che segna così profondamente la vita del giovane Ferdinand, nodo centrale di Viaggio al termine della notte, che mostra alcune scene di degenza in ospedale senza descrivere la natura dell’infortunio, sempre radicato nella memoria del protagonista della narrativa autobiografica di Céline, come testimonianza fisica e psicologica dell’orrore insensato della guerra.
Sarò rimasto lì ancora una parte della notte dopo. A sinistra tutto l’orecchio era appiccicato a terra con il sangue, la bocca pure. Fra l’uno e l’altra un rumore immenso. In quel rumore ho dormito e poi è piovuto, pioggia di quella fitta fitta. Lì accanto Kersuzon era stecchito sotto l’acqua a peso morto. Ho allungato un braccio verso il corpo. Ho palpato. L’altro non ce la facevo più. Non lo sapevo dov’era l’altro braccio. Era schizzato in aria altissimo, vorticava nello spazio e poi ridiscendeva a trafiggermi la spalla, nella carne viva. Ogni volta cacciavo un urlaccio di quelli e poi era peggio. Comunque riuscivo a fare meno rumore, sempre con quel grido, dell’orribile baccano che sfondava la testa, l’interno come un treno. Ribellarsi non serviva a niente. È stata la prima volta che ho dormito, in quella melassa piena di granate che passavano fischiando, in tutto il rumore che hanno voluto fare, senza perdere del tutto conoscenza, cioè insomma nell’orrore. Tolte le ore che mi hanno operato, non ho mai più perso del tutto conoscenza. Ho sempre dormito così nel rumore atroce dal dicembre del ’14. Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa.
Incipit di Guerra
L’esplosione provoca il ferimento al braccio destro, reso quasi inutilizzabile e dolorante per il resto della vita e mai ben chiariti danni alla testa (acufeni, emicranie e nausea, senza contare le conseguenze sulla salute mentale), sui quali l’autore gioca ambiguamente in quasi ogni suo romanzo nella messa in scena di deliri, allucinazioni, deformazioni espressionistiche della realtà ben documentate nel cosiddetto stile emozionale così caratteristico dello scrittore francese.
Al ferimento di Ferdinand seguono ore di morte apparente e finalmente la riemersione dal trauma, una resurrezione il cui prezzo è la condanna a vivere tutto il resto della propria esistenza con la “guerra nella testa” uno stato di shock irreversibile al quale si accompagna l’emergere di una coscienza di mortalità e nichilismo estrema. L’unica verità tangibile è quella della carne: carne maciullata e orrendamente sfigurata dei compagni di missione, carne bruciata, puzzolente e rivoltante, carne che si rivela nelle sue forme più oscene; grasso, interiora che espongono senza via di scampo la natura mortale e mondana dell’essere umano, nient’altro che un sacco di carne parlante.
Rimessosi in piedi, il giovane corazziere si incammina a fatica, nella trance post-traumatica che non riesce a capire ma dalla quale deduce “che dentro di vita ne restava ancora molta, che si difendeva per modo di dire”. Vaga nella proverbiale landa desolata (o meglio devastata) in cui la guerra trasforma ogni lembo di terra che tocca e, tra cadaveri e crateri, riesce finalmente a farsi notare da alcuni soldati inglesi e approda ad un ospedale improvvisato.
Da qui il romanzo è un susseguirsi di incontri e brevi avventure all’interno dell’ospedale tra militari e infermiere, deliri e piccoli tradimenti, volontà di veder riconosciuto il proprio sacrificio dai superiori (il ferimento frutterà a Ferdinand Destouches una medaglia al valore, la quarta di copertina di una rivista, un’invalidità certificata al 75%) e l’emergere di una crepa irreparabile nella visione del mondo del protagonista.
La vena dissacrante di Céline emerge nello spazio dedicato all’esuberante e violenta pulsione sessuale del soldato convalescente, unica spinta vitale e deus ex-machina della narrazione. Ferdinand intrattiene i degenti con il racconto delle gesta del medievale Re Krogold (di cui finalmente si può leggere il testo, benché incompiuto e a suo tempo rifiutato dall’editore, poi sottratto all’autore insieme agli altri manoscritti) e incontra Bébert, (il nome che sarà poi del suo famoso gatto), losco francese con il quale organizzerà un viaggio a Londra e che già nel testo di Guerra viene rinominato Cascade, personaggio centrale dell’ambiente malavitoso anglo-francese di Guignol’s Band. Con l’imminente trasferimento a Londra, Guerra si conclude e prelude al seguito Londres, a volte complementare, a volte parallelo alle due parti edite di Guignol’s Band (scritto tra il 1938 e il 1944).
La stesura di Guerra è stata datata nell’intervallo di tempo tra il Viaggio al termine della notte e Morte a credito, probabilmente nel 1934. Dal punto di vista narrativo mostra la volontà dell’autore di integrare i passaggi evocati ellitticamente nel primo romanzo (il ferimento in guerra e la decisione di imbarcarsi per Londra); dal punto di vista stilistico invece rappresenta un punto medio evolutivo tra i due capolavori degli Anni ’30. In Guerra ritornano la sintassi dislocata che imita il parlato e il lessico gergale, già sperimentati nel Viaggio ma si nota l’assenza vistosa dei celebri tre puntini di sospensione che, insieme alla forte presenza delle frasi esclamative, costituiscono le principali innovazioni della prosa celiniana introdotte a partire da Morte a credito.
Chi legge si accorge immediatamente di trovarsi davanti a un romanzo folgorante, anche e soprattutto tenendo conto del fatto che quella presentata ai lettori da Gallimard e Adelphi è la trascrizione di una stesura iniziale e poco rifinita di un’opera di cui non sono pervenute versioni successive. Sono perciò indicate tra parentesi alcune varianti testuali, ci sono vuoti lasciati da parole rimaste indecifrate (la grafia dell’autore, di quel braccio malandato e quasi inservibile peggiorerà sempre di più negli anni) e si è scelto di correggere il meno possibile incongruenze e probabili sviste. Al lettore viene presentato quindi un testo-cantiere che risulta, al netto di alcune lacune, sorprendentemente leggibile, ottimamente scritto e completo anche nel suo stadio iniziale.
Le note e gli utili inserti sul ritrovamento e l’edizione dei manoscritti sono completati dalla nota del traduttore, nella quale Ottavio Fatica riflette sulla nota difficoltà di rendere in italiano Céline e, in particolare, un romanzo incompiuto a questo stato di revisione autoriale: “pieno d’insidie, botole, tagliole, trabocchetti” (p. 137). Il traduttore veterano fa un ottimo lavoro nel restituire la freschezza di getto dell’autore in divenire e ci rende partecipi di un’ennesima tappa nella grandezza di Cèline, un autore che se non fosse stato per l’incredibile sforzo di trasposizione linguistica e la maestria di Ottavio Fatica, Ernesto Ferrero, Gianni Celati, Giuseppe Guglielmi per i romanzi e, tra gli altri, Giovanni Raboni e Giancarlo Pontiggia per le opere “minori”, difficilmente avrebbe trovato posto nelle librerie italiane.
Il trittico narrativo ed esistenziale Enfance-Guerre-Londres (il cui ordine ricostruito è Morte a credito, Casse-pipe, Guerra, Viaggio al termine della notte, Londra/Guignol’s Band) annunciato nel 1934 all’editore Robert Denoël, è finalmente realtà, con l’unica nota amara dell’incompletezza dei testi inediti. Dopotutto possiamo solo avere tra le mani quelli che risultano essere, a tutti gli effetti, stadi ancora embrionali di progetti mai completati e la differenza si sente, soprattutto per uno scrittore come Céline, solito rivedere anche per decine di stesure le proprie opere.
C’è da sperare che la pubblicazione di questi inediti in Italia possa portare innanzitutto alla ristampa dei romanzi di Louis-Ferdinand Céline i quali, con l’eccezione del Viaggio e di Morte a credito risultano quasi tutti fuori catalogo da decenni e viaggiano ormai nel mercato dell’usato con prezzi inaccessibili. In secondo luogo, si spera che la nuova attenzione internazionale verso questo scrittore porti rinnovata linfa agli studi celiniani, appropriati ormai da editori e critici marcatamente ideologizzati (leggasi “di estrema destra”), o trascurati tout-court. Un rinascimento celiniano è auspicabile, per riscoprire o leggere per la prima volta un autore così importante per il rinnovamento della lingua francese, dallo stile unico e mozzafiato, che ha fatto proseliti, alcuni insospettabili, nella letteratura mondiale: tra gli altri Charles Bukowski, Henry Miller, William Burroughs, Allen Ginsberg, Philip Roth, Michel Houellebecq. Un autore dalla biografia travagliata e ambigua, non semplificabile in termini manichei; al quale si deve, come minimo, dignità di (ri)stampa e (ri)lettura approfondita.