Carmen Pellegrino, “La felicità degli altri” – Un viaggio nel proprio passato
Un’infanzia complicata di cui rimangono soltanto brevi flash, piccoli frammenti, legati da ricordi ricostruiti nell’immaginazione di una bambina ormai donna, che cerca di rimettere assieme il puzzle di se stessa. Questo è il nuovo romanzo di Carmen Pellegrino, La felicità degli altri, finalista del premio Campiello 2021.
La Trama
Clotilde, ormai adulta, si ritrova a dover affrontare il proprio passato. Purtroppo ciò che le rimane sono soltanto dei piccoli ricordi, talora incerti, talora ambigui, che la donna cerca di ricostruire piano piano, compiendo un viaggio che la porta a rivivere luoghi e persone che in qualche modo possono darle una risposta ai suoi quesiti. Un viaggio dai tratti proustiani, entro i confini del tempo perduto, che non è puramente fisico, ma anche metafisico-spirituale, è anche un viaggio dentro se stessa, atto a far riemergere dal magma del passato la verità.
Ma la verità in questione è difficile da ritrovare, poiché traumatica. Storie alquanto terribili si nascondono nel suo passato, come l’abbandono della madre e la morte del fratello. Questi sono però eventi incerti, frammentati da una memoria che non vuole mai riemergere completamente, ma solo a tratti, frastagliata dal tempo perduto e dalla nebulosità del passato. Eventi che molto spesso riemergono infarciti di altre storie di contorno, talora anche inventate, frutto di una fantasia che fa da legante a una serie di pezzi di puzzle che altrimenti rimarrebbero spaiati e privi di un senso complessivo.
Tanti sono i personaggi che Clotilde trova sulla propria strada. Il primo che ci appare è un professore universitario, un uomo molto solo, immerso in una vita grigia, ma che saprà spiegare alla donna le sue ombre, un prezzo che tutti ci portiamo sulle spalle per poter, in qualche modo, risplendere, vivere. Poi verrà il Generale, l’uomo che ha tratto in salvo Clotilde e che le ha dato una casa in cui poter vivere, un’infanzia felice dopo i traumi dei suoi primi anni di vita. E ancora ci sarà Madame, la moglie del Generale, forse il personaggio che più si avvicina ad una madre per la protagonista.
E infine ci sarà anche lei, Beatrice, la madre, quella vera, ritrovata in una stanza buia, come buio era l’oblio in cui era stata risucchiata. E la domanda che scaturirà dall’incontro sarà un breve e doloroso perché.
I feticci
Un elemento ricorrente nel testo è il rapporto con oggetti o ricordi che in qualche modo vengono caricati di un significato simbolico. Espediente questo spesso utilizzato, soprattutto negli ultimi tempi, si veda Walter Siti e Michele Mari.
Un esempio è la vecchia foto di una donna, trovata da Clotilde in un mercatino, che la bambina tiene con sé per tutta l’infanzia e che continua a tenere in tasca anche da adulta. Il feticcio rappresenta il suo dolore, poiché nella bambola è ritratta una donna non tanto dissimile dalla madre, che ne rappresenta prima un surrogato e poi, dopo l’abbandono, un peso che la donna-bambina è costretta a portare con sé per tutta la vita, nel ricordo del suo passato.
L’oggetto-feticcio viene caricato di tutta la storia traumatica della protagonista e rimane nel tempo, quasi simboleggiando quel qualcosa che, per quanto nascosto nel passato, tra le ombre dei tempi perduti, deve comunque prima o poi essere risolto. E la risoluzione arriverà appunto soltanto con l’incontro finale con la madre, attraverso il quale Clotilde supera il proprio dolore, aprendosi ad esso e affrontandolo. Ed è lì la bambina smette di avere bisogno del proprio feticcio, tanto che lo regala proprio alla madre.
Lo stile
Il registro linguistico utilizzato dall’autrice è molto alto, talora quasi aulico e poetico. Un linguaggio che, grazie alla sua ricchezza, riesce a penetrare e spiegare davvero i sentimenti e le inquietudini del personaggio, rendendo il romanzo molto profondo e arguto.
L’utilizzo di rimandi intertestuali, in particolare con la letteratura greca e latina, vanno ad intensificare ancora di più lo stile alto. Rimandi che tra l’altro non sono mai casuali, e non hanno uno scopo puramente citazionistico, anzi spesso sono proprio funzionali alla trama, che se ne fosse privata rimarrebbe oscura.