Racconti

Black Out 2003 – Un racconto di Serena Votano

Fucile
Fotografia di Valentina Sansone

Milano è una città pronta a darti tutto e a togliertelo con la stessa risoluta arroganza. Le sue metropolitane e i suoi tram non fanno che portarti a spasso dentro la città: sei ovunque in pochissimi minuti. E non ti è permesso essere in ritardo perché il tempo è prezioso. Una città che non ti lascia rinchiuso in quelle quattro mura che chiami casa se non per dormire e, nonostante ciò, quando dormi, il mondo fuori continua a essere sempre in movimento. Non ci si ferma.

Quel trambusto cittadino, di macchine che scattano veloci, di uomini che aspettano il verde e scontrano le spalle sul marciapiede, in una continua gara a chi passa per primo, quell’incrociarsi di buste in una danza, gli ombrelli che riparano pressappoco, tutto ricordava ad Alessio quel turbinio di emozioni che alla stazione Centrale, appena arrivato, sperava di non dover affrontare.

Era tutto finito. O meglio, tutto stava per ricominciare. E non poteva evitarlo. Non poteva fare a meno di fare i conti con il passato.

«Ehi, sono sceso adesso dal treno» non si vedono da alcuni mesi, forse troppi.

«Sto arrivando, ‘sti cazzo di semafori» lei impreca. «Alessio aspettami fuori, ai parcheggi, dove si ferma lo shuttle.»

La considerava l’amore della sua vita, quel genere di storia in grado dare un senso a tutto. Nadia. Aveva tredici anni la prima volta che la vide parlare nella piazzetta dietro casa di Marco, il suo amico. Alessio, seduto sulla panchina, non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, pensava “sarà mia”. Un mese dopo, su quella stessa panchina era riuscito a baciarla e anche a toccarle un po’ il seno.

Nadia. Quel genere di persona in grado di cambiarti la vita. In meglio, s’intende.

All’idea di dover prendere i mezzi, Alessio, aveva capito di non avere altra scelta: aveva chiesto a Nadia di andare a prenderlo in macchina, perché guidare a Milano è un po’ come partire in missione nella giungla.

Odiava il solo pensiero di dover ritornare in quella gran casa, dai suoi genitori, non capiva come era stato possibile crescere lì. A vent’anni sentiva di non avere alcun sogno, non ne aveva proprio la necessità. Suo padre gestiva un ristorante e l’unico lavoro della madre consisteva in una continua ricerca di mobili, la domenica mattina, di cui non aveva alcun bisogno. Una tortura, doversi svegliare presto e, tutti insieme, scegliere armadi o televisioni nuove. Il consumismo, la terapia dei malcontenti. A vent’anni ne aveva già il disgusto e Marco lo aveva spinto a seguirlo in Spagna. “E fattela una vacanza”, gli aveva detto.

Appena arrivato a Valencia, aveva capito che non sarebbe mai più ritornato in Italia e si era messo a fare il barista. Niente di meglio. Si sentiva rinato, come in un’altra vita. Lui che non aveva mai avuto bisogno di lavorare, eccolo lì a far divertire la gente.

E aveva conosciuto Luna.

Nadia, con la solita Ford Fiesta, grigio topo, lo aspetta tra due autobus, poco distante. Il tempo di sistemare le valigie nel bagagliaio e di occupare il posto del passeggero, mentre la ragazza domanda quello che da una settimana aspettava angosciosamente di sapere: «Come mai sei tornato a Milano? E adesso cosa farai? Quanto tempo ti fermi?»

Un rumore.

Uno sportello si apre. Non sono più soli. Un uomo, con in mano una bottiglia spaccata a metà. Prende a minacciarli: «I soldi, datemi i soldi!»

Alessio guarda Nadia. Lei guarda fuori dalla macchina. Nessuna dei due riesce a parlare, o voltarsi verso lo sconosciuto, l’unico impercettibile suono sono gli occhi di Nadia, alla ricerca di uno sguardo nel caos della strada che sappia decifrare l’ambiguità di quei secondi.

«Datemi la borsa o vi ammazzo!»

Una mano, da dietro il sedile, scivola lungo il collo di Alessio e stringe. È strano, dimenticarsi di respirare.

«Non lo so cosa mi è preso, è tutto così annebbiato…»

C’è chi la chiama “negazione di un trauma” e chi lo definisce uno shock. Tutto era diventato lento mentre le sue mani avevano preso la borsa di lei per gettarla nelle mani di quell’uomo.

Gli occhi di Nadia aveva continuato a implorarlo. Di fare qualcosa, di salvarla, di…

«La mia borsa… Non le tue cose, la mia…»

Alessio ha un nodo in gola. Esplosione in corso. Sono ancora seduti in macchina. Evitano di guardarsi in faccia. Un gioco necessario.

«Senti, mi dispiace. Me la vedrò io, okay? Ti ricompro tutto, io… andiamo dai carabinieri, okay?»

«Perché è così che si risolve tutto… Mi fai rubare la borsa? Ricompriamo tutto. Ci sono problemi tra di noi? Mettiamo la Spagna in mezzo.»

«Cosa c’entra la Spagna, adesso? Ma di cosa parli?»

«Perché te ne sei scappato in Spagna, per tutto questo tempo?»

«Senti… sei vulnerabile, adesso. Ho paura anch’io. Andiamo al pronto soccorso, è meglio.»

«Sto aspettando una risposta.»

«Che risposte vuoi, Nadia? Mi soffocavi… Questa città mi soffoca.»

Alessio sente addosso come una seconda pelle che ormai gli sta stretta, che sperava di aver bruciato per sempre in una delle ultime sigarette fumate a Milano prima di partire. E invece eccola lì, insieme a tutti i guai, nella fedele attesa di un ritorno. Di fronte a Nadia, si sente ancora l’irrequieto irresponsabile di sempre. Poco contano le esperienze vissute in Spagna.

Osserva i turisti con le valigie, accanto al taxi che li porterà altrove, in attesa che qualcuno carichi i bagagli al loro posto, mentre altri ragazzi saltellano verso la città. Per alcuni, la serata inizia adesso. Per molti, solo la fine di una banale giornata uguale a tutte le altre.

«Eravamo pronti. Convivere, pensare un po’ a noi, diventare adulti insieme. E adesso sei ancora il solito ragazzino. Non sei cambiato per niente. Il solito codardo.»

Nulla, in quella città, faceva per lui. L’unica relazione sentimentale della sua vita si era rivelata una trappola. La sua famiglia? Una coppia di ipocriti. Vedeva il futuro completamente bianco. Andando in Spagna aveva desiderato staccarsi da tutti, chiudere con quella che fino a quel momento era stata la sua quotidianità. Per scoprire che non gli apparteneva affatto. Per scappare. Anche allora si era comportato da codardo, forse, ma si era finalmente sentito vivo. Era partito perché non c’erano molte altre soluzioni.

«Giusto, perché tra i due sei tu quella coraggiosa.»

«Io sono quella che oggi, finalmente, può dirti che tra noi è finita. Mi sto per sposare.»

E tutto appare improvvisamente nitido.

«E non sei riuscito a fare altro?»

Marco, come lui, si trovava di nuovo in Italia, dopo due anni. Era ritornato qualche mese prima, la Spagna non gli andava più, gli stava stretta.

Alessio gli passa una canna, seduti sulla solita panchina di tanti anni prima. Guarda l’ora sull’orologio, le 3:20. «Nadia era diventata una bestia, davanti a tutti ha iniziato a insultarmi. “Non il tuo portafoglio o quell’orologio del cazzo, la mia borsa!” continuava a gridare.»

«Ma siete andati dai carabinieri? Avete fatto la denuncia?» chiede ancora.

«Sì, zio. Vuoi sapere cosa mi hanno risposto? Che non possono farci più nulla…»

«In che senso?»

«Eh, di fare un giro intorno alla stazione, magari riusciamo a recuperare i documenti…»

Marco spegne il mozzicone sotto la scarpa e cerca il pacchetto di sigarette dentro il giubbotto.

«No, zio… sono tutti infami, questi stanno lì per fare un cazzo. L’ho sempre detto: la pelle te la salvi da solo. È per questo che ho preso una pistola.»

Due falene sbattono contro la luce del lampione, un po’ come i pensieri di Alessio tornano a poche ore prima. Sente come se le dita sul collo fossero ancora lì, a stringere la presa.

Alessio si sente confuso. «Hai una pistola? Da quando?» Inizia una serie di domande e non capisce se Marco dice la verità o lo prende un po’ in giro. Quando chiede: «Ce l’hai qui, con te?» spera di non essere cascato in un pessimo scherzo.

Invece no, come se non aspettasse altro da tutta la sera.

«La mia bimba» e stampa un bacio sul ferro grigio, tirato a lucido. «Lei non mi tradirà mai.»

Alessio allunga una mano, lentamente, come se non fosse lui a guidarla ma un innato gesto di curiosità ad attirarla. E Marco gliela passa.

«A proposito di tradimenti, hai detto a Nadia di Luna?»

«Non c’è stato il tempo, e poi non era più il caso…»

Luna, messicana, è una di quelle ragazze che sa esattamente quello che vuole. E lo sapeva anche quando, alla fine di una serata devastante passata a lavorare insieme, gli si era avvicinata all’orecchio e gli aveva detto “Vamos a coger”. Tutto era ricominciato da lì.

«Zio, devo proprio dirtelo… Nadia si sta per sposare.»

«Sì, questo me l’ha detto. Mi ha rinfacciato che sono un codardo, che sono scappato…»

Alessio si accende una sigaretta, la fiamma è una fonte di calore che placa il suo stato d’animo. Spaventato, tormentato, smanioso.

«Ed è vero. Tu sei scappato. Come me. Non c’è nulla di male, zio. Entrambi volevamo qualcosa di più, è sbagliato?»

«Se fossi rimasto qui, mi sarei ucciso.» Il suo vacuo sguardo passa dalla sigaretta alla pistola. Quello che ha appena ammesso è la verità: qualche giorno prima di partire aveva desiderato con tutto il cuore di togliersi la vita.

«Hai mai giocato alla roulette russa?» dice Alessio, mentre il vento fuma quel che resta della sigaretta tra le dita. Vede molte macchine in lontananza, ma le macchine non possono vederli. Nessuno può sapere che loro sono lì, silenziosi osservatori della città.

«Hai solo una pallottola in rivoltella. Sei possibilità, una di queste è letale.» Scrolla velocemente il tamburo, uno scatto, e punta la pistola sulla sua tempia.

«Ale, non scherzare.»

Accarezza il grilletto con l’indice, la mano invisibile stringe sul collo e, ancora una volta, sente la paura. Sei possibilità di vivere, una di sbagliare. Da che parte sta il caso?

«Perché dovrei?»

L’adrenalina del ferro sulla testa, un brivido simile all’orgasmo.

Le luci si spengono. Alessio non vede più le luci della città, il treno sta proprio lì, fermo nella stazione, i semafori sono spenti così come tutti i lampioni. È un black out totale, le strade e le case sono sepolte nel buio.

Perché le luci non si riaccendono?

Immagina le persone bloccate, inghiottite dagli ascensori, a rischio di morte in ospedale. Si chiede cosa sia successo o chi ha mai potuto desiderare che Milano si spegnesse definitivamente.

Pensa alla Spagna e a Luna. Al suo modo di dormire con le gambe intrecciate tra le sue. Gli occhi di Nadia, persi nella paura di una situazione imprevedibile, ancora satura dell’incontro di poche ore prima. Uno scontro, a pensarci bene.

Il buio ha appena divorato Milano, mentre l’assenza di Luna sta divorando lui.

Il cielo riacquista il vigore che non ha mai perso, ricorda al mondo di essere sempre stato lì, come uno specchio d’acqua in attesa di un nuovo riflesso.

Finalmente le stelle. E com’è bella la luna. La luna.


L’autrice

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine JD Salinger, Raymond Carver, Richard Yates o Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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