La birra miele e castagne – Confessioni di una Millennial
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Giù dalla metro, su dalle scale. Dritta verso l’università. Vorrei un po’ di pace. N.B. Far saltare sul lago i cellulari ultra-sottili e usare i sassi come telefonini. Vorrei avere proprio qui, adesso, la tasca piena di I-phone e un bel lago calmo. Vado veloce, non sono di fretta ma l’importante è che tutti lo pensino. I vù cumprà soprattutto. Un po’ di slalom tra di loro ed eccola: mi viene incontro la tizia col cappottino che vorrei, di un bel rosso non sgargiante. Perché lei ce l’ha e io no? Mi taglia pure la strada. Disgraziatamaledetta. Scazzamento generale, e non è ancora iniziata la lezione. All’ingresso studenti annidati ostruiscono il passaggio. Ulteriore scazzamento. Finalmente sono dentro l’università e una tipa va nella mia stessa direzione, mi taglia la strada e mi cammina davanti con l’aria da: “Cavoli, sono una studentessa di filosofia figa, posso andare alla velocità di una LUMACA”. Altro scazzamento generale. Ma, guarda te, mi tagliano la strada e mi rallentano il passo. Dannati. Poi, ancora peggio. Davanti all’aula incontro cinque, e ripeto cinque, persone che conosco. Ragazzi di un giornalino letterario a cui partecipo. Ovvero una valanga di gente che non posso ignorare. Sorrido, saluto, entro.
Sulla soglia qualcuno mi sfiora il braccio e mi blocca col suo barbetta-sorriso. Ossigeno, dove sei? L’altra notte ho dormito da lui? Sì. Forse ieri o mille anni fa. Non lo so. Trovo a stento il fiato di comporre una frase di senso compiuto. Infondo indosso una sciarpa color senape, sono giovane e forte, posso farcela. “Devo cercare un posto”. Inchiodata dal suo sguardo. Nessuna via di fuga. Mi chiede di uscire appena l’ho trovato, per chiacchierare. Okay.
In un respiro, mentre appoggio le mie cose in fondo all’aula, mi calmo e inizio a pensare. Siamo molecole, atomi. Sono un nucleo di uranio capace solo di generare legami instabili, pronti a esplodere in scissioni nucleari che distruggono tutti. Fremo. Sono frenetica. Tendo a scoppiare. Io e quel ragazzo siamo solo andati a bere una birra, siamo scialli. Siamo molecole scialle e senza pretese che scivolano, mai pronte a qualcosa di serio. Io, molecola, scivolo. E quando cado esplodo e non resta più niente. Però noi ci andiamo solo a bere una birra. Ci scivoliamo addosso come milioni di molecole d’acqua o di slime. Con tutto questo scivolare l’aria si fa viscida eppure adoro lo slime, non ha nulla di viscido. Mi piace, ci piace prenderci “solo una birra” e poi vedere cosa succede; non scriverci mai, se non per scivolarci addosso, ma senza cadere, non ancora.
Mi avvio verso l’ingresso, verso di lui. Il tempo rallenta ancora e i pensieri si accalcano. La natura di questa realtà ci porta a non avere mai niente. Né un lavoro, né un luogo, né un legame stabile. Liquida. Sì, scivoliamo, ma senza cadere. Così, il giorno in cui mi ha invitata a uscire, ho accettato.
Quella sera, quando mi ha chiesto quale fosse la mia birra preferita l’ho tenuto lì mezz’ora a raccontargli di quando sono stata in un birrificio in cui non sono più tornata e non ricordo nemmeno dove si trovi. In questo posto sconosciuto ho assaggiato una birra stagionale castagne e miele, unica e irripetibile. Aveva un sapore avvolgente e vellutato, un colore ambrato. Sapeva d’autunno e pioggia vista dalla finestra dentro casa. Aveva una schiuma morbida e dolce. Però non l’ho mai più ritrovata, quella birra, che è la mia preferita.
Solo alla fine è riuscito a dirmi che conosce un birrificio in cui la fanno, che anche lì era una birra stagionale, ma forse ora non più. Mi ha detto che magari ci saremmo andati insieme un’altra sera, che lì fanno anche il birramisù. Ho sorriso.
“Il birramisù?”
“Sì, il tiramisù ma con la birra”
“Cioè inzuppano i savoiardi nella birra?”
“Ah, non lo so”
“Chissà se è buono o no”
Abbiamo sorriso. Poi siamo andati a giocare alla Play da lui.
Per me la vita è un fiume in piena, una cascata irruenta e rumorosa di emozioni forsennate che schizzano ovunque e questo è un dolore costellato da piccole infinite gioie preziose. È soprattutto il dolore e tante cose belle che, alla fine, fanno male. Esplosioni.
La notte prima di uscire insieme l’ho sognato, ho fatto degli incubi confusi che non ricordo. Mi sono svegliata di soprassalto e non ho più potuto dormire. Però, poi, stare insieme è stato bello. È stato bello sentirmi tanto desiderata, sentire di potermi lasciare andare, sentirgli dire che magari saremmo andati a bere la birra castagne e miele o ad assaggiare il birramisù. Bello. Stare con lui così, nel piacere, nelle carezze, nel desiderio, nei suoi baci dolci sulla mia schiena, poi nella foga, nella voglia di godere e, infine, negli abbracci soffici come coccole.
Il giorno dopo ho sognato a occhi aperti quella notte. Sentivo il suo odore buonissimo nell’aria, volevo svenire per sognare quella sera e percepirmi ancora lì con tutto il corpo. L’ho capito subito che ero fottuta. Stavo appoggiata sulla sua spalla nuda a contemplare il profumo della sua pelle e lo assaporavo in una sorta d’involontaria estasi. Sono fottuta. Mentre la sua pelle si smaterializzava e mi entrava dentro ho pensato che mi piacerebbe assaggiare di nuovo la birra castagne e miele che ho provato una volta nella vita e mai più, che sarebbe bello sorridere mentre assaggiamo un birramisù e scopriamo se è buono o no. Ci spero di ridere ancora dopo essere venuta da te e con te, di trascorrere insieme anche questo venerdì. In un solo istante, mentre in involontaria estasi la sua pelle si smaterializzava in me, l’ho capito. È esplosa così in me la consapevolezza di star per vivere un dolore lancinante e profondo. Il dolore è in agguato, dietro l’angolo, pronto ad attaccare.
Il giorno dopo non mi ha scritto, e ci sta. Ci sta perché è così tanto che non assaggio quella birra castagne e miele che ho quasi paura di poggiare le labbra su quella schiuma. Sono terrorizzata. Ricordo un sapore vellutato e avvolgente. Ricordo la punta amara della birra rossa smorzata dal dolce del miele. E se non fosse così?
Il giorno dopo non mi ha scritto, e non ci sta. Non ci sta per niente perché vorrei tuffarmi in quella birra castagne e miele. Vorrei provare tutta la paura del mondo, quella che si provanel gettarsi da un aereo con il paracadute. O senza? Ce l’ho il paracadute?
Il giorno dopo non mi ha scritto, e non so se ci sta o non ci sta. Ho paura anche solo di poggiare le labbra sulla schiuma di quella birra. Ho paura che vorrei gettarmici dentro a quella birra e infrangerla quella paura. Ho paura che non so cosa fare.
Nemmeno io gli ho scritto. Paralisi muta. Rumore bianco. E soffro. Già soffro anche solo pensando al ricordo di quella birra. Accetterei il suo invito? Un invito che sa di caldarroste, baci dolci, abbracci, coccole. Un invito vellutato e avvolgente. Accetterei la paura del dolore di questa mite dolcezza autunnale? Quella delle foglie rosse passione che cadono e ti si appiccicano addosso, il tepore della copertina di pile con una tazza di tè fumante in mano, fuori la pioggia e qualcuno accanto. Qualcuno dagli occhi color miele, di un castano così dolce da essere nettare.
Allora ho pensato, facciamo così, non scriviamoci il giorno dopo che ancora non so niente di niente, in estasi come sono, con la tua pelle smaterializzata in me. Facciamo come l’altro giorno che ci siamo scritti nello stesso preciso istante, quando tu hai letto: “Sta scrivendo…” e io: “Sta registrando un audio…”.
Eppure ho questa paura, ho questo dubbio per cui non so se è stato un inutile caso impertinente se ci siamo scritti nello stesso preciso istante, non so se in birreria ci sarà davvero quella birra castagne e miele, se mi piacerà, se è proprio quella che voglio. Non so se ci sarà quel sorriso quando assaggeremo quel birramisù. Non so che sapore avrà, quel sorriso. Ho quella paura, quel dubbio, perché la birra è amara, ma può essere buonissima. E io in realtà non lo so che sapore ha. Unica certezza: ho sognato a occhi aperti. Sono ancora lì appoggiata sulla tua spalla nuda in estasi con la tua pelle che mi entra dentro in ogni molecola e vorrei che la vita fosse solo quel bene. Il bene che mi fa il tuo profumo, la tua pelle nel vento. Paura. Ne ho troppa, ma lo accetto. Il tuo invito. La mia paura.
Okay. Il tempo riprende a scorrere, folle. Sono arrivata sulla porta dell’aula e so di essere spacciata. Ci conosciamo tutti. In sei. È terrificante, dovrò impegnarmi in questa conversazione, per colpa delle sue mani di seta, del suo barbetta-sorriso, di tutte le volte che mi fa la linguaccia da lontano in redazione, di tutte le sue battute divertenti, della sua aria spiritosa, riflessiva, introspettiva e di quando alla fine di una frase mi dice “Cara”. Ovvio che lo dice a tutte, ovvio. Eppure me ne vado in giro sorridendo ai tetti delle case e agli ultimi piani dei condomini o mordicchiandomi il labbro con aria trasognata. Ricordo addirittura il nome di tutte le persone presenti, il che è ancora più grave perché vuol dire che so qualcosina di ognuno di loro, ma in questo momento non me lo ricordo. Chiedo a uno del gruppo come mai sia qui dato che non l’ho mai visto in questo corridoio. Accompagna la sua ragazza. Poi, lo chiedo a Lui. Perché è per questo che l’ho chiesto all’altro. Sospensione del tempo.
Barbetta-sorriso: “Io ho lezione!”
E io: “Dove?”
Barbetta-sorriso: “Nell’aula là dietro”.
Farabutto. È venuto solo per farmi sciogliere. Avessi qualcosa nella testa riuscirei a dire qualcosa di sensato. Sensato-sensato-sensato. Punto sulla cosa più evidente che abbiamo in comune: “Si va in stampa!”. Entusiasmo generale, chiacchiere. Non è abbastanza. Cervello, dove sei? Ci vuole più impegno, ma impegnarmi con le persone non fa per me. Di solito le evito nascondendomi dietro alle colonne con grazia e disinvoltura da ballerina.
Qualcuno chiede: “Hey! Ma il verbale? Non dovevi farlo tu?” Che si apra una voragine sotto di me! Come ho potuto dimenticarmene? La cosa peggiore è che non so nemmeno dove siano gli appunti per redigerlo. Potrebbero essere a Torino, alla Scuola di scrittura che ho visitato, per quanto ne so. Quella che non potrò mai permettermi di frequentare, ma che sono comunque andata a vedere nel week end. Non mostro il mio smarrimento mentre si scherza di come ormai tutti leggano solo i miei verbali e non più il Corriere della Sera o qualsiasi altra cosa nella vita.
“Forse riuscirò a farlo domattina”, questo dico. Intanto penso: nondireunacosastupida, nondireunacosastupida, nondireunacosastupida. Non pertinente, irrilevante, inopportuna. Intanto sorrido e so di essere stupida. Anche se dico cose intelligenti. Anche se non è così. Ma non lo do a vedere. Passa il professore, entra in aula. SONO SALVA. La lezione sta per iniziare, dobbiamo salutarci. Non dirò più nulla di stupido. Sì!
Sospensione del tempo.
Sorrido: “Vado, ciao”.
Barbetta-sorriso: “Venerdì ci sono per quella birra”.
Sorrido: “Anche io ci sono”
Barbetta-sorriso: “Ti passo a prendere alle nove?”
Sorrido: “Okay, ciao”
Barbetta-sorriso: “Ciao!”
Ed è l’unico saluto di cui mi importa.
Mi rifugio in fondo all’aula in mezzo a tanti sconosciuti.
Venerdì ci sarà. Baci dolci, giochi, birra castagne e miele. Occhi castano miele e verdi. Labbra sottili ma morbide. Un abbraccio avvolgente e solido. Un sesso che è esperienza estetica. E sono tesa. Le emozioni mi fregano. Se penso a cosa c’è che non va mi viene in mente questo: mi piace tanto. L’ultima volta mi sono buttata. Avevo una paura come di stare per cadere dal decimo piano e mi sono buttata. Guardami ora. Esplosa. Sono un casino e sono triste. Mi sono illusa e non avevo il paracadute. Sono morta. È presto per lasciarmi andare. Sono lo zombie di me stessa. Buttarsi dal decimo piano, per poi scoprire di essersi sfracellati a terra? No, non lo voglio rifare. Ho avuto quel coraggio in quel momento e ora non più. Però è stato così bello stare con lui. Non gli piacerò mica anch’io? No, è impossibile. Scivoliamo. Andiamo scialli a prenderci una birra. Non ce la faccio a rilassarmi ora anche se voglio stare bene lì accanto a lui, immersa nel suo profumo e perdermi.
Mi piaci. E non te lo voglio dire. Mi piaci. E non so tenere un segreto. Ho voglia di vederti, di ascoltarti mentre mi racconti cose di te, di stare sotto la copertina sul tuo divano e di sorridere ancora con te. Ho voglia di guardare i tuoi occhi cambiare colore la mattina e voglio conoscere tutte le loro sfumature. Voglio che mi resti addosso il profumo delle tue lenzuola, dei tuoi asciugamani, della tua pelle. Voglio gli spuntini di mezzanotte, il torroncino delle due che mi catapulta a Natale anche se è ancora ottobre. Voglio stringere i tuoi muscoli mentre mi dai piacere e sorridere tra i tuoi baci dolci. Voglio tutte queste cose e anche guardare le luci strambe che metti in giro per casa, giocare di nuovo alla Play con te e ridere, poi fare due tiri della tua canna e sentire girare la testa. O sei tu che me la fai girare? Vorrei che anche tu desiderassi questa pace e questo bene.
Chissà se ti piace la cioccolata calda, se ti piacciono le caldarroste, se ti piace raccontarmi le cose, farmi le battute, vedermi ridere. Però, non lo voglio sapere, desidero solo che accada, che ti racconti ancora, che una volta beviamo una cioccolata o facciamo le caldarroste. Ho voglia di queste piccole cose dolci e salde, piccole ancore che mi tengono legata al presente, al bene, al bello, al piacere e alla pace.
Che pace che mi dà. Lo voglio, lo desidero tanto e tutte le volte che lo vedo. Anche se so che è un coglione mi piace lo stesso. Sbaglio? Adesso non voglio prendere appunti, voglio pensare alle piccole cose che abbiamo fatto insieme, che non sono niente di straordinario, ma le adoro. Adoro i dolci, gli sguardi, i sorrisi, i baci e stringerlo. Adoro le battute sceme, le sue reazioni giocose, il sesso avvolgente e pieno. Un sesso che forse è pieno di emozione, anche se non ne voglio sapere.
E tu ti emozioni? Io sì. Perché mi piaci anche se non mi voglio buttare.
Siamo molecole, atomi. Sono un nucleo di uranio capace solo di generare legami instabili, pronti a esplodere in scissioni nucleari che distruggono tutti. Fremo. Ma mi vorrei fermare. Scivolami addosso. Ma non vorrei cadere. Siamo liquidi eppure, a volte, vorrei congelare il tempo.
Tutti questi pensieri accadono in solo istante, giusto il tempo frenetico di iniziare a prendere appunti della lezione di estetica, lo studio del bello. Dopo mi attendono la ressa, i corridoi affollati, la metro, le scale, i piccioni. È tutto un casino. Ma venerdì. Venerdì, forse, un po’ di pace. Nell’attesa sorrido.