Bernardo Pacini – Fly mode
Vuole che vada a vedere, che arrivi lassù e veda, pur rischiando il flayaway o, peggio, la caduta.
Aerofotogrammetria
Bernardo Pacini è un poeta fiorentino, classe 1987, che ha vinto una serie di premi letterari, tanto da arrivare ad essere annoverato nell’antologia Poeti italiani nati negli anni 80 e 90, edita da Interno Poesia. Fly Mode, l’opera di cui ci accingiamo a parlare, è una raccolta di poesie pubblicata nel 2020 per Amos Edizioni e contiene una serie di testi scritti dall’autore tra il 2014 e il 2019.
La raccolta si apre con la sezione Alto levato drone, che già dal titolo ci catapulta in una dimensione futura, collocata in un tempo e in uno spazio altro, difficile da identificare precisamente. Eppure inizialmente le descrizioni delle scene rappresentate appaiono in qualche modo nitide, vivide; in un secondo momento questa dimensione di estrema chiarezza e comunicabilità si scaglia contro un velo onirico, più che altro di incubo, che crea una sfumatura forte di surrealismo. Di conseguenza, queste due dimensioni – da una parte l’estrema vividezza delle descrizioni e dall’altra un accento di surrealismo – vanno a creare un rapporto di forte oscillazione tra reale e irreale, tra sogno e realtà, dove quest’ultima, percepita in modo molto concreto all’inizio di ogni componimento, si dissolve e sfuma progressivamente nell’onirico.
Questa caratteristica stilistica percorre tutti i testi di Fly Mode e identifica anche il rapporto che l’io del poeta si ritrova ad avere coll’alterità, con la realtà esterna a lui.
Per quanto ancora non ci creda
Hovering
sono io, sono solo un
grosso orso blu
che guarda dentro.
Un io che in questo senso viene subissato e inondato dal mondo reale che lo circonda, e si pone quindi in una zona di marginalità nella situazione enunciativa. Sta al di fuori e guarda dentro. Di conseguenza la poesia si trova a perdere la dimensione più prettamente lirica dell’io.
Un io che sta ai margini, dunque, che narra a volte in presa diretta, come in Hovering, una delle prime poesie della prima sezione, ma che muta nei componimenti seguenti, come Aerofotogrammetria, dove si passa ad una enunciazione retrospettiva. E questo continuo passaggio tra passato e presente, in una dimensione temporale che, come già detto, ha forti tratti di ambiguità, rende ancora più spiazzante, vorticosa e intricata la lettura.
L’effetto naturalmente è di forte frammentarietà, poiché le scene paiono prese da contesti verbali tra loro molto differenti. Non a caso viene spesso utilizzata anche la tecnica dell’assemblaggio, come ad esempio nella poesia Aerofotogrammetria, che si apre con un dialogo che sembra ripreso da una ricetrasmittente, posto come incipit del testo. Sono ben individuabili all’interno dell’opera una serie di schegge testuali, che a volte hanno un effetto straniante come nell’esempio sopracitato, ma altre volte sono riprese colte di varie opere, come l’Erkloning di Goethe in Gabbia azzurrina, che vanno ad intensificare il senso dei testi.
Questa continua frammentarietà, questa tendenza a forme molto ellittiche, di una poesia pervasa da sottintesi e non detti, si staglia spesso in scene dai tratti fortemente drammatici. Difatti, soprattutto nelle prime due sezioni, la poesia pare configurarsi in uno scenario bellico, dove l’elemento della guerra è molto accentuato e presente. E come conseguenza della guerra vi è la morte.
Una guerra e una morte, come quella del bambino nella sezione DCIM, una morte banale, inutile, causata da un male altrettanto banale. E questa banalità del male, non a caso, è un rimando all’opera di Hannah Arendt, il cui richiamo compare fin dal primo componimento della raccolta.
Un altro elemento molto presente è la tecnologia, che viene intesa proprio come supporto e precursore della guerra, e quindi della morte. Una tecnologia che è rappresentata nei suoi caratteri più disumani e stranianti, che sembra deformare la scena, lo spazio e il tempo, imprimendovi un forte elemento di violenza e di brutalità.
A quest’analisi sembra che la scena rappresentata abbia dei tratti distopici, che possono essere confermati anche dalle citazioni di Orwell. La distopia, che è di per sé l’opposto dell’utopia, si configura per essere un non-luogo degenerato, che nasce dalla speranza di un mondo migliore, che in questo caso non solo non si verifica, ha anche conseguenze nefaste. In questo senso, la distopia qui delineata pare essere la distopia dell’utopia del nostro mondo e della nostra contemporaneità. Insomma, si palesa una velata critica nei confronti del mondo contemporaneo e il suo intensificato positivismo verso la tecnologia.
Una tecnologia che, divenuta centrale nella società, inonda ogni aspetto della vita dei singoli, decretandone addirittura la vita e la morte, e scaturendo in una vera e propria tecnocrazia dove l’umano stesso viene reso funzionale ad essa. Così l’uomo, dentro questo caos tecnologico, dove anche la lingua si trasforma, informandosi sui tecnicismi del nuovo mondo, viene disumanizzato, ridotto ad una figura estremamente banale, un’ombra, che si perde dietro alle interferenze intermittenti di un Drone.
La tematica della tecnologia viene mantenuta anche in Vite in 4K, dove però sembra in parte perdere la dimensione bellica della guerra. Qui l’io viene spesso eliso, come nella poesia Coccobello, per lasciare in realtà spazio ad un affresco della nostra società. Fin dal primo componimento, Acensorista, l’autore rappresenta la vita moderna nelle sue varie sfaccettature, ma lo fa in una visione per certi versi deformata e sempre con quel velo surreale di cui si parlava precedentemente. La conseguenza è l’effetto di incubo, che porta con sé un senso di angoscia esistenziale all’interno del grigiore del mondo.
Una caratteristica particolare sembra essere la meticolosa rappresentazione degli oggetti, molto spesso elencati e a volte posti all’interno della poesia senza dei veri e propri nessi testuali e talora sintattici con il resto. Come conseguenza vi è la marginalizzazione del soggetto, che si ritrova ad essere un oggetto tra gli oggetti, come amalgamato e parte integrante di un mondo inanimato, che non ha più vita. E questo elenco continuo di oggetti, con un ritmo volutamente molto veloce per via della sintassi fortemente ellittica, quasi assente, rende un senso di angoscia, di disperazione dell’io di fronte al mondo.
E che angoscia
Ascensorista, II
mai nessuno abbia pensato
di calarsi giù e smielare…
Anche nello stile Pacini sembra mimare il caos e l’angoscia dei suoi componimenti. I versi sono molto lunghi, informati su una forte tendenza alla narratività, e hanno misure tra loro molto variabili, tanto da non poter essere riconducibili a forme tradizionali. In questo senso, la sua poesia si identifica come fortemente verso-liberista e allo stesso tempo tendente alla prosa. La lingua è molto eterogenea: vengono utilizzati diversi registri linguistici e addirittura diverse lingue. Si passa dall’inglese al francese, da una lingua particolarmente letteraria e colta ad una lingua più colloquiale e quotidiana. Infine molto frequente è l’utilizzo di tecnicismi riconducibili al mondo delle tecnologie e dell’informatica. Una lingua così eterogenea, che può cambiare registro in modo così repentino anche all’interno di uno stesso componimento, dà un forte senso di straniamento, quasi la poesia dovesse riprodurre in modo mimetico il caos della vita nel mondo contemporaneo.
Questa disperazione però trova una sua conclusione nel silenzio. Infatti la sezione successiva, FAQ, si apre subito con un testo che tratta proprio il silenzio. Solo quando gli oggetti smettono di fare rumore, solo quando quell’insieme di linguaggi tecnici e stranianti della tecnologia si tacciono, allora l’io può tornare a respirare.
Imparate da subito a riconoscere il silenzio: possiede una sua retorica e genialità, un calore e un’immoralità, una giustizia e un incomprensibile alfabeto […] tace la viola da gamba, tace la biscroma sul pentagramma, tace l’armadio, tace l’urna, tace la brace. Tace la casa contro ogni evidenza di vita. Avrete dunque compreso la caratteristica primaria del silenzio, questo suo rimanere nei pressi degli oggetti come una muffa appena visibile, e promuoverli a un’apparenza di vita, trasmettendo loro un’esistenza minima ma tigliosa.
Miniguida preliminare
E questo silenzio, che finalmente ritorna nella scena facendo tacere il caos e il magma del mondo contemporaneo lascia ora spazio alla speranza. La speranza di un mondo che possa tornare ad uno stato pre-tecnologico, e per certi versi anche pre-razionale:
Vorrei una sera dopo il volo
Irreversible return to land
tu mi lasciassi acceso per errore
una falla in quel sistema perfetto
di logiche e abitudini.
L’appendice invece vede una serie di poesie caratterizzate da un forte diarismo e allo stesso tempo un evidente autobiografismo. Insomma l’autore, concludendo la trattazione del mondo attorno a sé, del caos, ritorna alla sua infanzia, tra i suoi cari, quasi riservandosi una zona di limbo, di pace, dove l’io poetico può ritrovare se stesso, lontano dal mondo esterno e dalla sua angoscia.
Un elemento interessante di questa parte sono i titoli che vengono utilizzati, tutti riconducibili all’elemento della natura, della vegetazione, e alle tecniche di coltivazione (Quiescenza, Rizotasi, Idrocultura…). L’autore sembra alludere agli stati della vita e in particolare al momento della crescita. Ma anche questa, come ogni cosa, è destinata alla Senescenza – potatura, come recita l’ultimo testo. E infatti qui viene messa in scena la morte, la fine delle cose.
Oh, farmi un’idea precisa della morte
del tipo di stupore che si prova a starne fuori
pinneggiando controvoglia nell’attesa
di tornare in superficie a fare il mortocon le braccia larghe, a croce.
Underwater drone