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Perché “Avatar – La via dell’acqua” può essere il miglior film agli Oscar 2023 ?

Un articolo di Benedetta Ricaboni

Locandina di “Avatar 2- La via dell’acqua”

I Na’vi, iconici alieni dalla pelle blu che abitano il pianeta incontaminato di Pandora, tornano al cinema in “Avatar 2-La via dell’acqua”, dopo 13 anni dall’uscita dalla prima pellicola. Con due candidature ai Golden Globe (“miglior film drammatico” e “miglior regista”), quattro nomination agli Oscar (“miglior film”, “migliori effetti speciali”, “migliore scenografia” e “miglior sonoro”), il film diretto da James Cameron sembra aver ampliamente soddisfatto le aspettative che i fan e la critica si erano creati nel corso della decade appena trascorsa, preparandosi, per altro, a battere un nuovo grande record: oltre ad essere diventato il terzo film con i maggiori incassi nella storia del cinema, se dovesse vincere agli Oscar 2023 diventerebbe uno dei pochissimi film sequel che siano stati premiati in tutti i 95 anni di  Oscar (per ora solo “Il Padrino- Parte II” e “Il Signore degli Anelli: Il ritorno del re” hanno avuto questo onore).

Tecnologia e acqua: i punti forti del film

Se fermaste qualsiasi persona appena uscita dalla proiezione di “Avatar 2- la via dell’acqua” e chiedeste cosa l’abbia colpita di più del film, è praticamente certo che risponderebbe “gli effetti speciali”. Eh sì, in un articolo che si propone di illustrare i motivi per i quali la nuova pellicola di Cameron dovrebbe meritarsi un Oscar, sarebbe quasi un sacrilegio non spendere qualche parola relativa agli incredibili effetti speciali utilizzati, che, se nel primo film lasciano a bocca aperta, nel sequel fanno letteralmente cadere a terra la mascella. Il merito di questo “effetto wow” è attribuibile non solo al fatto che le riprese siano frutto della canonica combinazione-già sperimentata da Cameron nel primo film- di cinepresa virtuale, lavorazione dei dati a computer e performance capture (tecnologia che permette di catturare movimenti ed espressioni facciali di un soggetto reale, per poi applicarli ad un personaggio virtuale), ma che proprio le tecnologie utilizzate per quest’ultima siano del tutto subacquee.

Una foto dal set di “Avatar 2- La via dell’acqua”, (cinematographe.it)

Il regista, infatti, ha optato per una scelta molto particolare: se di solito le scene ambientate in qualsiasi bacino d’acqua vengono girate fuori dall’acqua, sospendendo gli attori a dei fili per imitare il galleggiamento, aggiungendo digitalmente l’acqua solo in un secondo momento, in “Avatar 2- La via dell’acqua” ” Cameron decide di girare le scene direttamente in grandi vasche d’acqua, a imitazione dell’oceano. Il risultato è appunto quell’ effetto “wow” di cui si parlava prima, non solo perché le scene sono così realistiche e vivide da lasciare a bocca aperta (l’impressione alle volte è proprio quella di nuotare con i protagonisti e con le creature marine che incontrano durante il film) , ma anche perché si può ben immaginare l’immane impegno che troupe e cast abbiano messo nell’abituarsi a lavorare in condizioni così particolari e, diciamocelo, non particolarmente comode: virale è diventato il video che ritrae l’attrice Kate Winslet che, nel riemergere dopo 7 minuti di scena girata in apnea, continua a ripetersi sconvolta “Sono morta? Si, sono morta”.

Un’altra foto dal set di “Avatar 2- La via dell’acqua” (studioblinder.com)

Un incontro tra cinema e antropologia

È vero che tecnologia e acqua sono i due punti forti del film, dove con “forti” si intende “d’impatto immediato”, ma il vero perno attorno al quale ruota il nuovo film di Cameron è quello antropologico: in “Avatar 2- La via dell’acqua” il punto di vista dal quale lo spettatore vede, comprende ed elabora gli eventi non è unico, ma duplice. Da un lato, infatti, assistiamo allo svolgersi della trama dal punto di vista dei nativi, cioè da quel punto di vista che l’antropologia definisce con il termine “emico”: i Na’vi Omaticaya si raccontano e autorappresentano nelle loro credenze e tradizioni, che ruotano attorno al “Vitraya Ramunon”, “l’albero delle anime”, incarnazione materiale di “Eywa”, una specie di coscienza ecologica che anima l’intero pianeta di Pandora e che è in grado ci connettersi al sistema nervoso di ogni cosa, compreso quello dei Na’vi. Il mondo delle credenze e dei rituali di questa popolazione è davvero vario, articolato e molto ben illustrato da Cameron, tanto che allo spettatore risulta pressoché impossibile non farsi catturare e assorbire da tutte le sue sfaccettature, quasi sentendo in un modo del tutto particolare che Eywa inizia a stabilire un contatto anche con lui, come se fosse uno degli Omaticaya: se dovete ancora vedere “Avatar 2”, guardatevi attorno quando arriva la scena in cui Kiri Sully (Sigourney Weaver) si ferma in adorazione a contemplare la bellezza e la vitalità che animano la natura che la circonda, perché vi assicuro che ritrovereste la stessa espressione estasiata di Kiri sul 99% delle persone che vi circondano.

Uno scorcio della foresta Omaticaya (planete-pandora-rpg.forumactif.org)

L’altro punto di vista invece è quello che l’antropologia definisce con il termine “etico”, ossia quello che in genere adottano gli studiosi che si recano in una particolare regione del mondo a svolgere ricerche su l popolo che la abita. Nel film il punto di vista etico coincide con quello degli uomini della RDA, che già nel primo film giungono su Pandora alla ricerca di unobtanium, cristallo ferroso di cui il pianeta dei Na’vi è estremamente ricco e che potrebbe permettere loro di risolvere la terribile crisi energetica che la terra sta vivendo. Adottando il punto di vista degli uomini, lo scenario cambia: i preconcetti tipici della società umana, molto meno spirituale di quella Na’vi, fanno in modo che il legame che i nativi hanno con la natura venga visto come cosa da poco, quasi una specie di superstizione tribale che li rende uno dei tanti popoli “primitivi” che l’uomo è riuscito a piegare a civilizzare. A quale punto di vista da maggior valore James Cameron? Il film parla da sé: i Na’vi, forti delle proprie tradizioni e di una solidarietà che unisce le varie tribù (nel film, infatti, sarà il popolo della barriera corallina di Metkayina ad aiutare Jake Sully e la famiglia contro l’RDA) emergono come un popolo forte, organizzato socialmente e politicamente per mantenere in vita l’ecosistema di Pandora e continuare a vivere in armonia con esso. Gli uomini, invece, non ne escono in alcun modo valorizzati: animati da sentimenti quali l’avidità di potere, la totale noncuranza per la salvaguardia della natura e la brama di vendetta, soccombono alla forza degli Omaticaya, dai quali possono solo che imparare.

I “Tristi Tropici” di James Cameron

Nel guardare “Avatar 2- La via dell’acqua” non può non venire in mente l’opera dell’antropologo francese Claude Lévi-Strauss “Tristi Tropici”, scritta nel 1955 a seguito di un’esperienza di ricerca etnografica in Brasile. Nel libro Lèvi-Strauss si lascia andare ad una tristissima riflessione esistenziale sull’umanità e sul pianeta che abita, con il quale l’uomo, specialmente quello occidentale,  non è mai stato in grado di entrare in armonia. Al mondo, dice Lévi- Strauss, esistono due tipi diversi di società: quelle calde, come quella occidentale degli uomini della RDA di Cameron, che modificano l’ambiente in cui si trovano, producendo sì cambiamenti e innovazioni, ma anche disequilibri interni ed esterni, perché intestarditesi a voler portare la propria presenza oltre i propri confini, e quelle fredde, come quella Na’Vi, che non modificano l’ambiente in cui si trovano, ma vi si adattano armoniosamente. In questo senso, assistiamo ad un perfetto accordo delle voci di Lévi Strauss e di James Cameron, nell’intento comune di compiere un’opera di denuncia: le società calde come quella Occidentale vanno a rompere l’equilibrio non solo con l’ambiente che le circonda, ma anche con le altre popolazioni, tanto che i tropici (Pandora per Avatar) , visti da sempre come luogo di straniamento ed evasione, diventano tristi per la devastazione che la società occidentale ha portato loro nell’ostinazione a volerli sfruttare, piegare e “civilizzare”, dato che sconfiggerli ed eliminarli è per loro impossibile.


Aratea Cultura

Tristi tropici – Claude Lévi-Strauss – Google Libri


Benedetta Ricaboni

Redattrice di Letteratura