Artivismo – Vincenzo Trione
Vincenzo Trione, accademico, storico dell’arte e critico d’arte contemporanea è professore di Arte e media all’Università IULM di Milano, dove insegna Storia dell’Arte contemporanea. Nel 2022 pubblica per Einaudi Artivismo, saggio critico candidato anche al Premio Viareggio 2022.
Occorre cogliere […] il presente, nella sua complessità. Non come finestra spalancata, né come muro che ostruisce lo sguardo, ma come un vetro smerigliato. Non come luogo fermo e stabile, ma come territorio stratificato, mobile, privo di confini chiari: da problematizzare, da contraddire, da contrastare, perfino da negare.
Vincenzo Trione, Artivismo
“Artivismo”: la crasi dei termini arte e attivismo indica una tendenza tutta contemporanea che si muove a passo con le vicende umane. Dalle sembianze polimorfi, dai confini che si sovrappongono e si confondono, è quel fenomeno che unisce la denuncia e l’impegno politico con la concezione dell’arte, che si trasforma rispetto ai secoli passati.
Gli spazi di azione in cui operano gli artivisti sono molteplici, spesso non ben definiti: si muovono in spazi culturali non convenzionali, dalla Rete, ai luoghi marginali delle metropoli e progetti partecipativi, pedagogici con funzione controinformativa.
La politica, intesa proprio come praxis, come azione caratterizzante e originaria della vita umana, non è un concetto astratto, bensì un collante capace di collegare gli esseri umani “senza la mediazione di cose materiali”, uno strumento di tutela nei confronti della stessa vita.
La formazione dell’artivismo si radica in un cambiamento di paradigma del concetto di arte. L’industria culturale, nella nostra “era inconsistente” è spietata, governata da leggi capitaliste. Nel mondo dell’arte, le derive di questa causa sono molteplici: la frammentazione e la diversità sono preponderanti e assistiamo ad un panorama mobile in cui agiscono personalità, generazioni, culture e geografie molteplici e differenti.
Gli artisti che innestano la loro concezione artistica con il pensiero politico concepiscono l’arte come una sorta di lente di ingrandimento sul presente e sugli elementi del quotidiano, spesso sfociando nella sfera del perturbante.
Il perturbante è ciò che emerge dal buio più profondo, causando una scossa interiore, generando angoscia e spavento: gli artisti che sguazzano nelle acque del perturbante si barcamenano in argomenti finalizzati a creare dei margini sempre più spessi di consapevolezza, quali conflitti, disastri, migrazioni di massa, genocidi, drammi sociali, antropologici e pandemie.
Dagli intellettuali agli street artists
La figura degli artisti politici si incarna su quella, da decenni discussa, dell’intellettuale, che è colui che ha il coraggio di dire, che manifesta le proprie posizioni forte delle proprie contraddizioni, non temendole.
L’intellettuale pone luce sulla realtà, anche sugli angoli bui pronto a svelare le false apparenze della società, crea delle lacerazioni sulla superficie delle cose utili alla proliferazione di dubbi, di domande, di curiosità che diviene carburante per l’azione collettiva.
Allo stesso modo, l’arte viene pensata come uno specchio inquieto e comprensivo della realtà, distanziandosi dalle banalizzazioni e comunicazioni standard e omologate, staccandosi dal suo intento consolatorio, o di evasione dalla realtà.
Le opere degli artisti politici sono nel mondo, si originano dalla realtà e hanno spesso l’ambizione di poter creare degli effetti su questa.
Tra i principali interpreti della vita politica e attiva contemporanea vi sono gli street artists: insieme di voci all’unisono che concepiscono lo spazio urbano come un corpo senza principio né fine su cui tracciare i propri messaggi.
Il fenomeno della street art nasce all’inizio degli anni ’70 a New York e in particolare nei sobborghi della metropoli, che sono costellate dall’arrivo di gruppi di cubani, greci, portoricani che fanno esplodere le mura dei quartieri con immagini, messaggi visivi che hanno il sapore della ribellione, e che scoppiano dal bisogno di provocazione e di sottrazione alle regole borghesi che concepiscono l’arte solo se incasellata tra le cornici di un quadro e tra le mura di un museo. La street art è, poi, espressione del contenitore più grande della cultura underground che è un importante calderone per la proliferazione di messaggi politici che nascono dal basso e da profonde esigenze comunicative.
Spesso, gli artivisti, sono senza volto o senza un nome specifico: urge la necessità, in quest’era governata dall’ego, di doversi rendere invisibili, di doversi nascondere e mischiare in una collettività clandestina che può trasmettere messaggi ed opinioni solo tramite le proprie opere e i propri gesti.
L’artivismo, poi, secondo Vincenzo Trione si muove in direzioni plurime: lo si può ritrovare in tentativi di progetti pedagogici, quali cenacoli, forum, reti di discussione, di connessione, di mediazione tra attivisti che hanno come obiettivo quello di formulare delle questioni sul tessuto politico, economico e sociale e porre le basi per un cambiamento consapevole della realtà.
In secondo luogo, operano gli artisti urbanisti che attraverso la loro arte scoperchiano emergenze insiste nelle circostanze metropolitane, lasciando affiorare i lati più inquietanti di una quotidianità ordinaria solo apparentemente. Infine, è fondamentale l’esperienza dei collettivi che nasce dalla volontà di creare degli spazi di resistenza e di rivendicazione.
I collettivi si allontanano da un’idea di arte ‘classica’ o, perlomeno, stereotipata, che abitualmente produce oggetti da esporre, da trasportare, commercializzare. L’arte dei collettivi deriva dall’azione, dal processo e dalla ricerca che traccia delle vie di uscita per il conseguimento di un obiettivo comune.