Amico Mio di Gianmarco Perale – Premio Booktube Italia
Ogni indagine sul romanzo contemporaneo italiano è caratterizzata da alcuni presupposti -sempre gli stessi – e da una serie di problemi comuni, costantemente messi in evidenza da chi si assume l’immane compito di analizzare lo stato in cui versa la letteratura romanzesca nostrana. Nello specifico, la critica genericamente intesa non ha mai mancato di sottolineare come la narrativa italiana post novecentesca si muova nella quasi totale assenza di un canone condiviso, nell’incapacità endemica di restituire e rappresentare in maniera credibile la società di cui è prodotto e soprattutto nell’assenza di una lingua comune adatta alla narrativa.
Pier Vincenzo Mengaldo, in questo senso, ha sottolineato varie volte come gli scrittori italiani, a partire dalla seconda metà del Novecento, abbiano avvertito la necessità di ripartire ogni volta da zero per inventare un proprio linguaggio. Oggi, a più di vent’anni dalle considerazioni di Mengaldo – in un mercato editoriale che mostra una crisi della sua capacità espansiva, in cui spopolano le varie forme che ha assunto la non-fiction e in cui i manager editoriali stanno passando dalla strategia di catalogo a una strategia di prodotto, volta alla valorizzazione dei singoli titoli e alla creazione del bestseller o del libro-evento – la necessità per gli scrittori di inventare un linguaggio che sia originale e immediatamente riconoscibile sembra essere diventato l’elemento fondativo al quale subordinare ogni altro aspetto di un’opera letteraria come trama e struttura narrativa.
A questo fenomeno non si sottrae nemmeno Amico Mio di Gianmarco Perale, un testo dall’intreccio minimale, dalla struttura semplice e dallo stile tanto consapevole quanto, marcatamente, personale. Il risultato di questa ricerca fin troppo esibita di una penna unica e riconoscibile, abbastanza sorprendentemente, non è un’opera di scarso valore ma, al contrario, di un testo – benché non privo di difetti – capace di avvincere e, senza facili entusiasmi, dare una veste nuova alla narrativa di formazione.
L’opera si apre in medias res ma il lettore viene immediatamente messo a conoscenza dell’antefatto: Tom, protagonista e voce narrante, ha tirato un pugno ad un suo compagno di classe, Leo Fosco, colpevole di aver colpito con un righello l’amico del cuore di Tom, Paride detto Poni. Il testo, dunque, si snoda nelle settimane seguenti all’evento mostrandone sia le motivazioni che le conseguenze.
Le motivazioni sono, apparentemente, molto semplici: Tom ha colpito Leo Fosco – come ripete quasi ossessivamente alla madre, al preside, al padre di Paride – per difendere il suo amico, ma non sembra riconoscere la gravità della sua reazione, giustificata da quello che considera un atto di amicizia, amore e protezione. Le conseguenze, anche in questo caso piuttosto comprensibili, poteranno Tom a cambiare classe, causeranno quello che sembra un raffreddamento nei rapporti tra Tom e Poni e condurranno il romanzo fino al gesto estremo con cui si conclude – e che non riveleremo per non rovinare l’esperienza della lettura.
Ciò che rende interessante Amico Mio è la scelta di Perale di raccontare la storia adottando il punto di vista del suo protagonista. La scelta non stupisce più di tanto se consideriamo che Amico Mio ha le sembianze del tipico racconto di formazione con protagonisti adolescenti in lotta con i cambiamenti del loro contesto di riferimento. La focalizzazione adottata da Perale, però non è chiave di accesso all’interiorità di Tom ma risulta un elemento di straniamento e di presa di distanza dai pensieri e dalle azioni del ragazzo. Il punto di vista, infatti, non crea un avvicinamento ma contribuisce a costruire un senso di crescente disagio nei confronti del protagonista e il romanzo dismette piano piano i panni del racconto di formazione per tingersi leggermente di toni thriller.
Questo mutamento progressivo di toni e di coloritura, accanto all’adozione di un determinato punto di vista, è costruito attraverso le scelte stilistiche di Perale – quella voce unica di cui parlavamo sopra e che è giunto il momento di esplicitare. L’autore, infatti, riduce all’osso le sezioni descrittive e predilige lunghissime e ripetute sezioni dialogiche che danno l’impressione di avere davanti più una sceneggiatura cinematografica che un romanzo. Nello specifico, Perale utilizza due diversi caratteri tipografici – il maiuscolo e il minuscolo – per restituire le battute di dialogo che Tom e Poni si scambiano per iscritto sul quaderno durante le lezioni. Questa scelta, oltre che apprezzabile per originalità, gioca il ruolo di un ottimo effetto di realtà e diventa indispensabile nelle dinamiche di cui parleremo più avanti.
La particolarità di questo stile, dunque, non sta tanto nel minimalismo delle descrizioni, nella medietà del linguaggio (che è piuttosto realistico nel ricalcare il parlato dei personaggi) o nella sovrabbondanza di dialoghi – tutte scelte più o meno battute dalla letteratura contemporanea – ma nel mescolare tutto quanto con alcuni elementi di assoluta novità e con una costante ambiguità e con un senso di non detto che muove questi stessi dialoghi e il racconto in generale. Il lettore, infatti, fatica a comprendere il perché di quello che legge, non empatizza con il protagonista ma ne prende progressivamente le distanze. L’effetto che Perale riesce a raggiungere con le sue scelte stilistiche, dunque, è quello di un protagonista che racconta le vicende in prima persona ma che non è affidabile e la cui interiorità è essenzialmente indecidibile.
Il lettore, infatti, pur interfacciandosi con un racconto in prima persona con focalizzazione interna, non ha accesso esplicito ai pensieri del protagonista ma ne può intuire le sensazioni soltanto da ciò che egli afferma. Il cortocircuito che Perale crea tra le parole di Tom, i non detti che nascondono e le azioni che poi compie costruisce il senso di disagio che ammanta tutto il testo e che rende Amico Mio un racconto di formazione credibile nelle sue premesse.
Lo stile, infatti, mai come in questo caso è al servizio del racconto. Amico Mio, mette in scena le prime fasi dell’adolescenza in cui le emozioni e le sensazioni sono travolgenti, ambigue, difficili da capire, definire e nominare. L’amicizia che lega Tom e Poni e che assume – come intuiamo – i tratti dell’ossessione o, forse, dell’amore è un sentimento totale che nemmeno lo stesso Tom riesce a comprendere fino in fondo. La decisione di precluderci l’accesso ai sentimenti di Tom e di demandare l’interpretazione di quello che accade ai dialoghi restituisce in maniera originale l’ambiguità e lo smarrimento tipici dell’adolescenza. Tom dunque non solo si scontra con i personaggi adulti – con cui non riesce a capirsi – ma, in un certo senso, è come se si scontrasse anche con i lettori; non solo Tom non sa spiegarsi cosa prova ma, di conseguenza, non sa spiegarlo nemmeno ai lettori.
L’impianto che Perale costruisce e che abbiamo cercato fino a qui di disvelare, se è credibile nelle sue premesse, deve purtroppo fare i conti con alcune scelte di trama e con un finale volutamente inaspettato ma poco realistico e stridente con la vicenda. L’impressione è che Perale abbia voluto spingere il lettore ad interpretare retrospettivamente tutta la storia alla luce del gesto estremo con cui chiude il romanzo, rendendo il finale una chiave di lettura dei sentimenti che hanno animato il protagonista. Il meccanismo però, se è interessante negli intenti probabili, si inceppa e risulta grottesco ed esagerato poiché il senso di disagio che l’autore ha montato durante tutta la prima parte del racconto – causato, come abbiamo detto da una totale assenza di interpretazioni, o in una loro moltiplicazione – si esplicita in una conclusione che vuole essere spiazzante ma che ha il difetto di essere più che altro stonata.
Al netto di questi difetti – che nascono in buona fede ma purtroppo inficiano inevitabilmente l’esperienza complessiva – Amico Mio è un testo avvincente, capace di dare slancio ad un genere piuttosto abusato come il romanzo di formazione ed è soprattutto opera matura di un autore giovane ma con una voce ben definita mai fine a sé stessa né figlia di logiche di mercato editoriale. Se, infatti, le scelte stilistiche di Perale sono certamente volte alla massima leggibilità, come abbiamo cercato di dimostrare, sono allo stesso tempo tutte motivate e motivabili nella costruzione di una narrazione tutto sommato credibile – soprattutto nei silenzi e nelle ambiguità che intercorrono nel rapporto tra Tom e gli adulti – e nel parossismo cui può giungere un sentimento totalizzante provato in un’età in cui i riferimenti crollano e le certezze si accartocciano su loro stesse