“Aggiustare l’universo” di Raffaella Romagnolo – Premio Strega 2024
di Benedetta Vetere
Raffaella Romagnolo torna per la seconda volta tra i candidati per il Premio Strega con il suo ultimo romanzo, Aggiustare l’universo (Mondadori, 2023). Non sorprende che a portarlo all’attenzione del premio sia Lia Levi, scrittrice sopravvissuta all’Olocausto e nota per Una bambina e basta, Premio Elsa Morante e Opera Prima del 1994: entrambi i romanzi condividono uno spaccato sull’Italia della Seconda guerra mondiale dal punto di vista di una bambina costretta a sopravvivere alle persecuzioni razziali.
Romagnolo aggiunge però una prospettiva alternativa, quella di una giovane partigiana che, lasciatasi alle spalle la guerra e le lunghe biciclettate per portare viveri e giornali clandestini oltre il controllo delle pattuglie tedesche, si ritrova improvvisamente sola, senza scopo, ma con ventitré alunne e un malandato modellino del sistema solare tra le mani.
Aggiustare l’universo trascende, per certi versi, l’ambientazione storica per concentrarsi sul tema dell’insegnamento: un insegnamento fatto bene, accogliendo il proprio ruolo di guida nella sua totalità e coraggiosamente. Una differenza che anche oggi, senza macerie e incubi a devastare le nostre scuole, possiamo riconoscere negli insegnanti più abili.
Ora che bisogna ricominciare, e ricominciare bene, e allora perché non rigare tutto daccapo, e meglio?
Aggiustare l’universo, p. 333
La scuola dove si incontrano le protagoniste si trova a Borgo di Dentro, una località fittizia tra Liguria e Piemonte, che non è tuttavia casa di nessuna delle due. Gilla ha soli ventidue anni e il poco che ha insegnato lo ha fatto tra le macerie di Genova. Si è rifugiata nell’entroterra con la famiglia quando i bombardamenti si sono fatti insostenibili. Borgo di Dentro è angusta e povera ma Gilla trova il suo destino tra le fila della resistenza locale, trova l’amore e, infine, l’opportunità di tornare a insegnare.
Federica è tra le prime alunne di Gilla: un’orfana che sceglie il mutismo pur di nascondere verità pericolose. Il suo vero nome è Ester Sacerdoti e la famiglia, con cui ha perso i contatti, è di confessione ebraica. Quella della sua famiglia è una storia comune, fatta di dinamiche familiari vivaci, amorevoli, la cui quotidianità viene erosa dagli articoli di giornale e dalle ordinanze fasciste che cadenzano il romanzo. I Sacerdoti si consumano come una candela, una fiamma traballante che rischia di spegnersi per sempre. A Ester non rimangono che pochi averi e il suo silenzio disperato come ultima difesa.
Ester e Gilla cercano di aggiustare i loro universi incrinati come possono. Per la bambina, significa proteggere un gattino solitario, farlo crescere in un anfratto buio e umido per nasconderlo agli occhi e ai pericoli del mondo. Per la maestra, si tratta di sistemare un modellino del sistema solare a dir poco malconcio: plasma nuovi pianeti di carta pesta e riallinea gli ingranaggi che li muovono in orbite, mentre immagina lezioni per le sue allieve.
Gilla aggiusta come insegna, come il padre orologiaio le ha insegnato: con “cura e coraggio”. Non si accontenta degli argomenti e dei metodi che le sono stati trasmessi, ma si fa domande, si impone delle decisioni, si spinge oltre la linea della semplice didattica per creare una vera connessione con le sue allieve. Una lezione per volta, plasma menti e cuori, fa ripartire il tempo per ciascuna di quelle bambine.
La maestra insegna anche le cose scomode, complicate, quelle che potrebbe fingere non le competono. La guerra è finita, eppure le scelte difficili restano, sfumano e si fanno apparentemente più innocue: bacchettate sulle mani o frasi su un quaderno? Rimanere indifferente o intervenire? Disciplina o dialogo? Svolte che non covano lo spettro della fine dietro il primo passo falso, ma che portano tuttavia in seno l’imponente onere di dare forma al futuro, stabilendo cosa accantonare e cosa cambiare del lascito fascista.
In questo lento cammino di scelte e guarigione, la linea che dovrebbe separare maestra e allieva diventa per Gilla un filo con cui guidare Ester oltre il muro di silenzio e paura dietro cui si è barricata. Con cura e coraggio, la maestra Gilla porta le sue lezioni immaginarie alle sue bambine, e poi a noi, mostrando come scegliere sia il mezzo per liberarsi dalla prigionia della sopravvivenza e dell’immobilità: così il tempo riparte, così si guarisce, così si torna a vivere.
Quello di Raffaella Romagnolo non è un libro che si sceglie alla leggera: sarebbe facile per un lettore sorvolare su una storia che crede di aver già sentito fin troppe volte, come pure sarebbe facile per uno scrittore pensare di non avere più nulla da aggiungere. Eppure, Romagnolo ci aiuta con una storia che si libera di banalità e ci coinvolge, non solo per la sua trama. L’autrice aiuta a calarci nell’ambientazione, allestendo con cura una scenografia di parole, oggetti e dettagli che riconosciamo attraverso la patina familiare che ricopre le storie dei nostri nonni, gli ammennicoli e le case di famiglia. Struttura poi la narrazione su due binari paralleli, uno nel presente dell’anno scolastico 1945/1946, e uno nell’arco temporale tra 1939 e 1945: un’alternanza che non crea confusione ma conferisce ritmo e riduce il distacco tra lettore e storia. Il risultato è di rimuovere ogni certezza e farci sinceramente rincorrere le pagine per sciogliere i segreti di Gilla ed Ester.
Spicca infine una certa delicatezza, un modo quasi gentile di descrivere anche i momenti di dolore, di perdita, di solitudine. Non si tratta di svilire o attenuare la verità di una storia difficile, ma di non scivolare nel renderla semplicemente un bagno di angoscia e dolore: un approccio lieve, che nulla toglie all’emotività che scatenano alcuni capitoli, senza tuttavia che offuschino l’intero romanzo.
Lo so che è difficile, la cosa più difficile del mondo. Ma fatevi un’idea vostra.
Aggiustare l’universo, p. 333
Aggiustare l’universo è delicato nel narrare ma incisivo nell’esibire i suoi punti cardine: non sorprende che Romagnolo, professoressa di liceo, ponga l’insegnamento come punto focale del suo romanzo. La scuola non si riduce a una semplice tappa del percorso, ma diventa luogo e strumento di cambiamento, di crescita, di speranza. Come Gilla agisce ben oltre l’aula scolastica, però, l’intero romanzo esce dai confini del rapporto insegnante-allieva per costruire il proprio syllabus: ogni personaggio, ogni storia si fa veicolo di riflessioni sulla memoria, sull’amicizia, sulle aspettative, intessendo motivi complessi nella trama di una grande lezione universale. Ogni esperienza può essere distillata per farne un complesso strumento, che al tempo stesso ispira e aiuta a fare “la cosa più difficile”: osservare e interrogare il mondo, frugandolo alla ricerca di risposte che aggiustino il nostro universo, personale e collettivo.