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“Adelaida” di Adrian N. Bravi – Premio Strega 2024

di Beatrice Buratti

Adelaida (Nutrimenti, 2024) è ultimo libro di Adrián N. Bravi, scrittore argentino che vive in Italia dai tempi dell’università. Il romanzo segue vocabolario e regole grammaticali italiane, ma a partire dal titolo Bravi dichiara l’intento di raccontare l’intreccio complesso tra due lingue, due culture, due continenti e i diversi vissuti che ne derivano. Lo fa attraverso la figura di Adelaide Gigli, un’artista e intellettuale italo-argentina politicamente impegnata in Sud America che l’autore, da ragazzo, conosce già in età matura a Recanati.

Adriàn ne rimane personalmente e, come emerge, intellettualmente influenzato, scoprendo per caso in questa figura quasi mitologica dalle sue stesse origini una personalità così rilevante, anche dal punto di vista storico. 

Con la donna, Adriàn condivide parte del suo vissuto tra Italia e Argentina, per cui, standole accanto nel periodo della vecchiaia, si sente investito del grande compito di sorreggerne e custodirne la memoria, mentre quella di lei si piegava al morbo di Alzheimer.

Sicuramente le proposte di questo libro sono affascinanti, ancora di più quando si ricorda la fama del padre di Adelaide, Lorenzo Gigli, pittore che espose alla Biennale di Venezia. Coinvolgente è anche l’incipit, che apre la narrazione con l’ultimo giorno e la cattura da parte dei dittatori della figlia di Adelaide, Mini. 

Le premesse del libro sono molto interessanti e nobili, considerando anche l’attività effettiva che l’autore spiega d’aver intrapreso per consegnare e gestire l’eredità artistica e archivistica della sua protagonista, essendo questo oltretutto divenuto suo ambito professionale presso l’Università di Macerata, al tempo della scrittura di queste memorie. Adriàn è legato da un affetto personale che – come dichiara egli stesso in più riprese – rende difficile la stesura, eppure uno scrittore per narrare qualsiasi storia sceglie delle piste, dei modi, delle linee di racconto effettivamente spazio-temporali, per restituire cose che nascono dagli interstizi inafferrabili dell’accostamento delle cose.

Forse però, rispetto ai presupposti molto ambiziosi, il linguaggio, le scene e i dettagli scelti non sono adeguati agli obiettivi proposti. Il libro rimane poco scorrevole, densissimo di fatti e spiegazioni, in 144 pagine dentro le quali è difficile trovare respiro e godersi la lettura, la narrazione e i suoi colori. L’opera ambisce a restituire troppo, come infondo dev’essere cercare di restituire nella sua totalità una persona grande, reale e amata. 

Il quadro si compone su troppi, diversi, piani: resoconto di una conoscenza personale e di un affetto, quadro storico delle complesse vicissitudini novecentesche sudamericane e biografia d’artista (multiforme, letterata, poetessa e scultrice). Il risultato è molto sconnesso, quasi a voler mimare la memoria di Adelaide, e tuttavia non godibile nemmeno in quanto tale. Il testo non dà al lettore il tempo e la stabilità per appoggiarsi abbastanza a lungo sui fatti per osservarli con attenzione; non dà una vera motivazione che leghi tutti i contesti proposti e che sia intrinseca alla lettura stessa e non dovuta all’autore e alle sue indicazioni un po’ perentorie e poste a margine.

A meno che non si ponga al centro proprio ciò che è posto ai margini: il nome dell’autore e le informazioni che egli dà su di sé in relazione alla donna. Quasi un’autobiografia nascosta – e forse inconsapevole – di sé.

Una delle prime scelte che riguardano solo l’autore, ad esempio, è la modifica del nome della donna. Bravi specifica che il titolo è “Adelaida” perché la sua missione è restituire la parte di Adelaide che in Italia sembra essere rimasta muta: quella della sua formazione e del suo sangue letterario, quella con cui parlava ai suoi figli, rimasti e rapiti da quell’altra parte di mondo. Perciò il nome italiano è volto nella sua versione spagnola con la “A” finale, nonostante la donna non avesse mai adoperato una simile modifica.  La scelta però sembra un po’ anacronistica, proprio in virtù del grande rispetto che l’autore nutre per la donna, che rimane effettivamente muta a partire nella scelta del suo nome.

Insomma, Bravi non va a sondare rispettosamente il buio e i silenzi della figura di Adelaida. Piuttosto li presenta, li invade, ma poi li nega. Le uniche osservazioni poetiche sono quelle che partono dalla percezione dell’autore. 

Dal racconto delle vicende che riguardano i figli si schiude come detto la narrazione, che si divide in due parti: la prima intitolata “L’inatteso” e la seconda “Il congedo”. 

“L’inatteso” tratta gli eventi che hanno portato Adelaide e varie, moltissime persone, a spostarsi qua e là per il mondo, costretti dalla sorte, dal caso, dall’inatteso. Tuttavia la presentazione di questi eventi è confusa e confusionaria. Spesso bisogna rileggere interi passi per comprendere a chi si riferiscono i pronomi personali o anche solo nomi che sembrano nuovi sulla pagina, ma che paiono rimandare e alludere a qualcosa senza una spiegazione. Questi fatti si intrecciano alla presentazione di Adelaide e ad uno strano resoconto, che ha l’aria di avere intenzioni didattiche, sulle dittature e le infinite rivoluzioni e controrivoluzioni del Sud America del secolo scorso.

Il tutto condito da un linguaggio che vorrebbe essere letterario, ma non riesce ad esserlo per diverse ragioni: in primo luogo, chi legge, trovandosi totalmente impegnato a districarsi nel mare di nomi, capi e colpi di Stato e a capire in quale continente o decennio collocarli nella sua mappa mentale, rimane quasi infastidito dai fronzoli letterari sparsi in periodi lunghi e complessi. La scelta di mescolare nomi “storici” a nomi “rubati” o regalati da racconti personali, probabilmente per mostrare l’umanità dietro la Storia, finisce semplicemente per confondere e non ne si trae molto né di didattico, né di letterario. E perde di senso tutta l’enfasi posta sul coraggio, la fede, gli ideali e le morti ingiuste di personaggi per cui ci si ritrova a provare un certo distacco.

Anche l’ampia presenza di citazioni a Euripide, Leopardi, Puskin, Achmatova e altri grandi della letteratura ha un sapore abbastanza gratuito. E queste allusioni e citazioni – di per sé abbastanza semplici da decifrare – vengono poi spiegate e riproposte a più riprese.

La seconda parte tratta invece della conoscenza personale tra l’autore e Adelaide, e di un pout pourri di piccoli accadimenti, tra quelli raccontati dall’anziana artista e quelli vissuti insieme a lei. Questi fatti, anche quando sono di grande portata, vengono raccontati frettolosamente, come corollari alla narrazione. Nonostante la personalissima conoscenza della donna, inoltre, emergono solo dettagli superficiali, quasi stereotipati, pur veri, ma senza profondità: Adelaide vive sola di fianco alla torre del passero di Leopardi, fuma molto, beve whisky, dice frasi ad effetto. Come se la persona, nel libro, si riducesse a un semplice personaggio.

Ci si aspetta un approfondimento sulla vita d’artista di Adelaida, che invece non emerge mai se non in pochi dettagli, come il fatto che avesse appreso ed elaborato una sua particolare lavorazione della ceramica dagli indios durante uno dei suoi viaggi. L’influenza del padre pittore è accennata golosamente all’inizio per non essere mai approfondita. Del suo lavoro letterario si sa di pochi saggi non meglio descritti e che fosse la “donna di Contorno”, importante giornale della resistenza argentina.

Per il resto, le opere d’arte di Adelaide non vengono mai descritte, nonostante il “genere” dell’ecfrasi si sarebbe potuto prestare come uno spazio coerente per saziare la fame di retorica dell’autore. E se è vero che a volte si può lasciar intuire sulla base di pochi cenni come fossero fatte le opere di un artista rinascimentale, questo decisamente non vale per le opere di un’artista novecentesca che lavora la ceramica e ha forti influenze sudamericane e precolombiane. Di fatto, non venendo mai descritte o restituite in altro modo, queste opere non appaiono mai.

La nota finale – in cui l’autore confessa un po’ di amarezza per non essere riuscito a restituire tutto quello che voleva di Adelaide – si trova d’accordo con la delusione del lettore che, forse, a un vago e confuso Tutto, avrebbe preferito una parte, più densa e definita, della vicenda raccontata. L’intento di ritrarre una persona a cui si tiene molto è commovente e comprensibile; lo è altrettanto il desiderio di tramandare alle generazioni la storia e le opere di un’artista poco considerata e le gesta di una grande donna il cui ruolo storico, letterario, artistico non è – come accade per molte – valorizzato a dovere.

Ma un libro, come anche un’opera d’arte, infondo è prima di tutto quello che appare, a prescindere dall’intenzione sottesa: un bel libro, una storia emozionante, un’opera impattante, un’opera peculiare. E purtroppo “Adelaide” non è niente di tutto questo, venendo meno dunque al suo primo e principale compito.


https://www.arateacultura.com/

https://it.wikipedia.org/wiki/Adrian_Bravi

Beatrice Buratti

Redattrice in Arte

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