Francesco Ottonello, “Futuro remoto”. Anche domani «nessuno arriverà»
Futuro remoto[1] non si legge, si subisce, proprio come il tempo che ci illudiamo di scandire. Comincia/termina[2] così il secondo lavoro poetico di Francesco Ottonello, con un’«allure lirica» – così la chiama Paolo Giovannetti nella prefazione (p. 257) –, se vuoi provare a entrare, che è un patto narrativo («[…] censura dimentica / ciò che hai letto sopra non era sopra […]») in cui la voce chiede al tu d’inizializzarsi e gli rammenta che non esiste una partizione del tempo, che questo è contesto d’immersione assoluto e, come tale, non distingue albe e tramonti. Il lettore si trova così disarmato sin dalle prime pagine, depredato di quel protagonismo con il quale è uso affrontare un’opera letteraria, passivamente colto da un io lirico che finge di assegnargli una parte attiva nel dialogo mentre in realtà lo rapisce, consegnandolo alle sezioni. Travestita da conversazione, la poesia che precede (o segue) la sezione Isola remota suggerisce uno dei temi dominanti del libro, quello dell’isola appunto, per definizione sola, destinata al mare che la separa dalla piena comunicazione, dall’esaurimento dell’indicibile: l’io può al massimo tendere al tu, e nemmeno standone certo («[…] ora sei con me. come me. ora / ti ho convinto. è vero. forse. […]»), senza mai coincidervi.
Il libro si articola sul tema della tensione comunicativa (irrisolta): è già chiaro dalla scelta grafica con cui Ottonello decide di disporre sulla pagina i singoli componimenti. Se in Isola aperta (Interno Poesia 2020, Premio Gozzano Opera Prima) si poteva provare a interpretare l’isolamento della poesia sul foglio quale intento mimetico-rappresentativo dell’isola nel mare, Futuro remoto fa quasi sempre comunicare due o più testi nel medesimo bianco, collegandoli per giunta con un’invenzione grafica originale, rappresentata da due trattini verticali paralleli: | |. Quello che l’autore chiama “sogno d’arcipelago” pervade insomma l’immaginario dell’opera, mostrando come perfino nel metaverso[3] l’entità umana caricata in rete bruci dal desiderio di annullare le distanze; il Dr. Sc. riesce ad abitare il corpo di Adon22, ma osservando lo stesso risultato di sempre: il bisticcio («siamo in un corpo lo chiamiamo noi / non lo vedo ma sì che ci vedo bastardo»).
Come per l’io e il tu, anche per il sardo e l’italiano l’autore disegna una tensione centripeta destinata a non sfociare nell’unicum se non forse dopo la morte («sgretolato il frutto di tutto il volere / tutto realtà ora il sogno idealizzato»), nella luce che irrora gran parte del libro. L’universo rappresentativo di Futuro remoto si proietta «controluce nel suono», dove lo sfondo assorbe i colori e le isole divengono nere, a contrasto come in foto, smarrendo le loro divergenze; un destino che esaurirà l’incomunicabilità nel nulla, dove tutto sarà niente, accomuna i profili delle lingue e degli individui, cancellando quei singoli trattini orizzontali (–) che significano allo stesso tempo legame e separazione, in direzione del verso che amalgama l’individualità del dialetto e l’universalità della lingua nazionale, così: «i vuoti spazi chi abbarrant de lughe».
Anche il metaverso è luce, ma luce artificiale: qui la promessa di superamento della condizione insulare è ingannatrice, poiché in questo universo la singolarità del sardo non trova spazio e l’italiano domina come lingua conformista («vieni ritorna, nostro italiano»). Quello che si pubblicizza come «pianeta altro senza più pareti», nel quale tutti sapranno accedersi autenticamente, è in realtà una prospettiva di falsa comunione, dove «il nuovo utente non arriva più» e l’individuo è ancora un «tu solo».
Se nell’universo di carne l’uomo desidera essere altro dall’io ma è condannato ad aspettare il tu per tutta la vita, condividendo con lui solo la sostanziale incomunicabilità che tutto infonde («quel braccio teso ponte di te stesso»), l’individuo che si abbona al metaverso, al contrario, sembra aver presto bisogno di ritrovarsi. Così, se recede in sé, separandosi come coagulo dal tutto virtuale attraverso il privato del ricordo, egli sembra valorizzare l’esperienza del contatto fra solitudini. «[…] ritroverai / spalmando il mio sole per le vertebre / la curva, lo stigma, la prima luce ferita»: il poeta quasi suggerisce sia possibile comprendersi solo dopo aver toccato il fondo, avendo valorizzato il metaverso come estremo negativo. La memoria identifica, per questo è proibito il suo esercizio personale: «allenati a scordare, rimuovi il rimasuglio / ci inghiotte succhiando via idrogeno».
D’altronde, se i versi abbelliscono l’ecosistema del nuovo mondo, la prosa lirica sembra palesarne la prosaicità. In annotazione 314 una scrittura inquietante, che approccia la pagina come fosse uno schermo e dunque vi si riproduce con i modi freddi della lingua in rete, fornisce senza tradimenti tutte le indicazioni da conoscere al momento dell’iscrizione. Anche nel mondo virtuale sembrano configurarsi diversi impedimenti comunicativi: «In un primo caso, ciascun umano digitalizzato sarà un nodo con un numero limitato di collegamenti con altri nodi-umani […] In altro caso, potremo osservare nodi-umani più fortemente collegati, che svolgeranno il ruolo di centro nevralgico del sistema».
Questo discrimine ricorda la diversa capacità d’apertura degli stili propri di una poesia, la forza penetrativa del contenuto tra i lettori; da una parte l’ermetismo tange un numero ristretto di nodi, dall’altra la cosiddetta poesia anti-novecentista raccoglie un pubblico più ampio. Se il meta-verso imita le tendenze della lirica, forse si può leggere nella sua costruzione una critica della modernità nel suo tentativo di sostituirsi all’arte, di emularne la spesso supposta disposizione a eternare chi la fa, o forse il potere transitivo che ne plasma l’anima.
Il legame tensivo tu-io, così vivo nella poesia di Futuro remoto, intride anche le pagine invisibili dell’opera, cioè le risistemazioni quasi impercettibili che alcuni componimenti di Isola aperta hanno subito nel loro «transmembramento» a testi nuovi. Infatti la sezione Riaprendo l’isola ospita solo testi del libro di esordio prefato da Tommaso Di Dio, rivisti con poche ma significative espansioni o riduzioni, sottoposti tutti – come avverte la nota dell’autore – a una sistematica inversione dei pronomi singolari di prima e di seconda persona. Anche alcune poesie della sezione Isola remota rielaborano le isole del primo lavoro di Ottonello con un processo di sardizzazione linguistica, ma una minore sistematicità relativa agli scambi pronominali. Icastica di come il lavoro di risistemazione autoriale si sposi al tema della spinta verso l’altro è la poesia intendes a mie in te attecchirende, mutuata da quella intitolata Riavvitarsi di Isola aperta: il verso «sento te attecchire in me» si trasforma in «sentimi attecchire in te» reduplicandosi anche in sardo, nel contesto di un «abile transmembramento».
Proseguiamo il ragionamento con domu tua, duos ogus abbarrande: la poesia non registra il tentativo di un abbraccio, ma la coscienza del suo fallimento. Mentre in Isola aperta «casa tua» ha «due occhi in attesa» che «guardano te» e non hanno bisogno di dire altro (Aprendo l’isola) poiché ti coincidono e sono come un «nido pascoliano»[4], in Futuro remoto gli occhi «càstiant a mie» («guardano me») e non sanno aprirsi, come se la loro autenticità non fosse più concessa.
Diversamente dalla difficile comunicazione tra gli io e i tu, i due libri dialogano e scambiano punti di vista. In Futuro remoto sempre tondo è il carattere di alcuni versi presenti in corsivo nel primo libro, come se in Isola aperta si fossero usate citazioni di quest’opera di più tarda pubblicazione. Se è davvero così, allora anche nei piani di produzione di Francesco Ottonello i libri sono arrangiati fuori dal tempo, o almeno misconoscendo la sua ordinaria scansione in ciò che viene prima e ciò che viene dopo.
Per concludere il confronto critico tra i due libri, è opportuno notare che se tutti i componimenti di Isola aperta hanno un titolo originale (che non corrisponde al primo verso), succede esattamente il contrario per i testi di Futuro remoto, che si presentano anonimi e con iniziale minuscola, collegati-intervallati nel flusso solo da trattini verticali (| |) e orizzontali (–).Questa scelta è da interpretarsi, possibilmente, anche come un desiderio di vedere l’opera sganciarsi da un orizzonte più prettamente autobiografico, o meglio, diaristico. Anche la prosa Schwarzwald, 2015 di Isola aperta diviene un luogo senza nome né data, presentandosi nel lavoro del 2021 come semplice annotazione 4 e senza particolari tradimenti dal suo diretto antecessore.
Il tema dell’incomunicabilità, insieme a quello della riproduzione, intride anche l’altra sezione totalmente inedita di Futuro remoto, dal titolo Riproduzioni da un futuro. Solo dopo l’eclissi delle specie ospitate sull’arca biblica («l’arca è dissolta […]») nascono «i ponti violati con te»; dove monologano tu e io, invece, «l’accesso negato» rispedisce nell’impossibilità.
L’uomo fa spesso affidamento a dio quando si palesa l’infelicità, dunque anche nel futuro di Ottonello, pervaso da un ossessivo anelito al raggiungimento (fallimentare) dell’altro, una trascendenza non può mancare. Eppure, nel tempo ecceduto dell’autore pare che il divino non abbia sembianze antropomorfe e non coincida con la trinità cristiana: il componimento mostraci, uraco, le diagnostiche dei motori, anche per via della sua struttura anaforica, somiglia a una vera e propria preghiera rivolta con toni tragico-ironici all’«uraco[5]» affinché formi «il legamento» – si può pensare – tra le persone. Se dunque tra qualche era si parlerà dell’onnipotente in chiave scatologica, sarà forse perché l’uomo, accortosi della sostanziale solitudine in cui annaspa, ammetterà che non è mai stato legato visceralmente ad altri dei e individui se non a sua madre dall’«uraco» prima di nascere. «ogni efemera ha due giorni di vita / per accoppiarsi, gettarsi nel fiume / morendo terrà viva una generazione / ripetendo ignara la sua destinazione»: la distanza rapportuale è il destino di tutte le specie, una regola alla cui applicazione si contribuisce paradossalmente con l’accoppiamento e la germinazione («[…] riprodursi rifarsi del male»).
In conclusione, il futuro di Ottonello è insieme arcaico e moderno, primitivo e tecnologizzato, è prima e dopo perché in un solo punto «tutte le epoche ora non esistono più». Tutti i contesti opposti sembrano dunque coincidere e comunicare nell’utopia, fatta eccezione per i viventi: condividiamo solo il sogno di poterci sognare.
*
se vuoi provare a entrare
qui devi avere un motivo, trovalo
se sei ancora qui questo è l’unico
che conosci per comunicare
–
non parlo con nessuno. ti chiedi chi sei
è la domanda a essere sbagliata
–
ora immagina di sdraiarti. censura dimentica
ciò che hai letto sopra non era sopra. non c’è niente
vedi non c’è più niente. ora sei con me. come me. ora
ti ho convinto. è vero. forse. ti controllo
a quel forse ti aggrappi. ti tendo
vedo che vieni
| |
recedi in te, le onde del bosco
riescono e pulsano a riformare
il coagulo. un’altra attesa comunità
sfioriva nel ricordo dei tuoi occhi
–
in silenzio scenderemo ai fiumi
sproloquieremo al fuoco di una stella
che cadde sghiacciata. ritroverai
spalmando il mio sole per le vertebre
la curva, lo stigma, la prima luce ferita
| |
siamo in un corpo lo chiamiamo noi
non lo vedo ma sì che ci vedo bastardo
ma ti amo e so che mi ami, amati
da noi in nuovo pianeta, o metaverso
dov’è la madre? senza un solo bimbo
nulla più esiste che fu concepito
allenati a scordare, rimuovi il rimasuglio
ci inghiotte succhiando via idrogeno
–
quarking vales yrcu yuos my slel, not programmed
to barec cod error cTRLL Ctrrll cancc
vieni ritorna, nostro italiano
| |
sgretolato il frutto di tutto il volere
tutto realtà ora il sogno idealizzato
–
stai solo. in monca radice
per un gesto senza più canto
perso, perso
*
Annotazione 222
Ti parlo da un futuro remoto. A volte mi chiedono per chi. Quando saranno finite le isole e i pianeti non saremo mai stati, ma saremmo stati tessuti da un balzo. In quella landa visualizzasti il messaggio un secondo prima di essere slogato, disconnessi per quante ere ed exametri. Sempre verso un’altra meta tenderemo il nostro sguardo, senza accorgerci del punto che ci aveva congiunti, in questo futuro. Così vivo, così distante.
La tua isola non era. Era il sogno di avermi potuto sognare.
[1] Francesco Ottonello, Futuro remoto, in F. Buffoni (a cura di), Poesia contemporanea. Quindicesimo quaderno italiano, Marcos y Marcos, Milano, 2021.
[2] La nota dell’autore recita: «Quest’opera rifiuta la narrazione del tempo lineare. È presente fittiziamente una linearità poematica, che è possibile riconfigurare scegliendo da quale isola iniziare, proseguire, finire, e di cui i testi se vuoi provare a entrare e un tempo l’australopiteco rappresentano intro e outro (o viceversa)».
[3] Si fa riferimento a Dentro il metaverso, sezione originale di Futuro remoto. Ottonello è il primo ad avere trattato in poesia il tema del metaverso, prima che divenisse recentemente di attualità.
[4] Giulio Medaglini, Francesco Ottonello. Isola aperta (https://poesiainverso.com/2021/11/22/francesco-ottonello-isola-aperta/, 22/11/2021).
[5] L’uraco è il tratto delle vie urinarie del feto che collega quest’ultimo e la vescica della madre.
Francesco Ottonello (Cagliari 1993), poeta e saggista, ha pubblicato la monografia Pasolini traduttore di Eschilo (GRIN 2018) ed è dottorando di ricerca presso l’Università degli Studi di Bergamo.
Il suo esordio Isola Aperta (Interno Poesia 2020, pref. Tommaso Di Dio) ha vinto il «Premio Gozzano Opera Prima» ed è il primo poeta sardo a essere incluso nei Quaderni di Poesia Italiana Contemporanea a cura di Franco Buffoni, con Futuro remoto (Marcos y Marcos 2021, pref. Paolo Giovannetti).
Suoi articoli e recensioni sono usciti in varie riviste («Acme», «L’Ulisse», «Semicerchio», «Oblio», «l’immaginazione», «Atelier» etc) e poesie nei maggiori litblog italiani («Le parole e le cose», «Nuovi Argomenti», «Nazione Indiana» etc). Le sue poesie sono state tradotte in portoghese («Oresteia»), spagnolo («Centro Cultural Tina Modotti»), inglese («Journal of Italian Translation») e sono presenti in diversi volumi antologici: I poeti nati negli anni Ottanta e Novanta a cura di G. Martini (Interno Poesia 2020), La radice dell’inchiostro a cura di G. Cornelio (Argolibri 2021), Distanze obliterate a cura di «Alma Poesia» (Puntoacapo Editrice 2021) e Queerfobia a cura di G. Ghibaudo e G. Polastri (D editore 2021).
Ha recitato nel film Il rosa nudo (2013) di Giovanni Coda e in vari spettacoli teatrali. Ha curato la rassegna Poesia e Contemporaneo per Lampioni Aerei (Milano 2018-2019). Dirige www.mediumpoesia.com ed è redattore di «Bezoar – Rivista di poesia contemporanea».