REWIND – Tosca, 7 dicembre 2019

In trepidante attesa per il 7 dicembre, nei giorni precedenti il grande evento inaugurale della stagione del Teatro alla Scala, il melomane appassionato non può far altro che trovar consolazione ricordando le prime passate. In questo articolo parleremo di Tosca, il clamoroso successo del 2019 firmato dalla coppia Livermore-Chailly. Per chi avesse poca dimestichezza con la trama dell’opera, il consiglio è di una breve e veloce lettura a questo link. La prima Tosca Pur essendo una delle opere più rappresentate al modo, Tosca di Giacomo Puccini (libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica) non è mai stata proposta come inaugurazione in un 7 dicembre. Quest’opera straordinaria del compositore lucchese ha incontrato la gloria e il fermento della serata di Sant’Ambrogio solo nel 2019, sotto la bacchetta del Maestro Riccardo Chailly, direttore musicale del Teatro, e con la regia di Davide Livermore, che nuovamente ha avuto l’occasione di confrontarsi con una prima scaligera dopo l’esperienza del 2018 con l’Attila di Giuseppe Verdi. Partendo dal presupposto che ciò che viene messo in scena al Teatro alla Scala e con i mezzi di cui il Teatro dispone è di una qualità che solo pochi altri al mondo possono raggiungere, il successo dello spettacolo era assicurato: la meravigliosa orchestra ha seguito senza timore ed esitazione il Maestro nei momenti di incertezza che – bisogna ammetterlo seppur a malincuore – si sono presentati nel corso della recita, il coro e il coro di voci bianche del Maestro Bruno Casoni, pur essendo in scena di rado in questa partitura, hanno lasciato un segno positivo nel pubblico, merito anche dei curatissimi costumi e delle scenografie pensate e realizzate senza trascurare alcun dettaglio dalle maestranze scaligere che ogni anno lavorano dietro le quinte degli spettacoli. La scena L’apertura del sipario ha svelato un insolito esordio per Tosca: la scena inziale ha visto protagonista la corsa sul posto di un uomo, il console Angelotti appena evaso dalla prigione di Castel Sant’Angelo. Fin dall’inizio Livermore ha dimostrato una grande e scrupolosa attenzione alla partitura: con questa prima immagine il regista ha dato prova di aver compreso le intenzioni che Puccini comunica in musica sotto forma di ritmo sincopato, a simboleggiare il movimento quasi frenetico nell’evasione. Nel primo atto, a partire dall’ingresso nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, storico edificio romano dove la vicenda si svolge (minuziosamente descritto dal libretto e altrettanto minuziosamente ricostruito in scena), sono state confermate le notevoli abilità del regista, il quale ha immaginato per l’osservatore una visione a 360° della chiesa, ottenuta attraverso un continuo susseguirsi di rotazioni della scena che a ogni movimento hanno messo in risalto gli elementi caratterizzanti di ogni azione. Questi spostamenti di enormi elementi scenici (addirittura intere parti di edifici), sono il marchio distintivo delle regie di Livermore, risultato di uno studio approfondito sulla gestione dello spazio del vasto palcoscenico scaligero. La grande superficie a disposizione ha addirittura permesso al regista di strutturare alcune scene dell’opera su più piani, per poi riunirli all’occorrenza. Ad esempio, nel secondo atto è risultata molto funzionale la scelta di far comparire dal basso la stanza dove Cavaradossi viene torturato e il successivo abbassamento del piano della stanza di Tosca per permettere ai due amanti di ricongiungersi, dopo che l’uomo viene lasciato morente a bordo palco. È un vero peccato che l’apice di stupore scenografico venga raggiunto troppo presto, all’inizio del primo atto, limitando notevolmente l’impatto sul pubblico degli altri due atti, che, pur essendo stati strutturati con grande ingegno e consapevolezza, non sono riusciti a eguagliare la quantità di attenzione che le scene iniziali hanno catturato. Di conseguenza, l’opera è stata vittima di un diminuendo tensivo dal punto di vista scenico che contrasta con il crescendo emotivo della trama. Forse, però, in questa regia, Livermore ha un po’ esagerato con la complessità meccanica dei movimenti. Questo si può ipotizzare analizzando il momento di palese confusione al termine della scena 5 del primo atto, dopo l’uscita di Tosca a seguito del duetto con Cavaradossi. Il Maestro Chailly ha dato l’attacco all’orchestra per proseguire, ma la cappella degli Attavanti con all’interno Angelotti per qualche motivo non è entrata in palcoscenico, costringendo così il Maestro a fermarsi e ricominciare la scena 6 da capo qualche secondo dopo. Un imprevisto molto evidente anche ai meno esperti e anche molto imbarazzante considerando l’entità della serata, che ricordiamo, trasmessa in diretta su Rai Uno e in mondovisione. Tosca incontra il lato oscuro Le scelte di regia di Livermore hanno suscitato commenti contrastanti tra il pubblico, soprattutto nelle gallerie – è risaputo che nell’abbonamento dei loggionisti è inclusa la polemica – : c’è chi lo ha chiamato genio e c’è invece chi in lui non è riuscito a trovare nient’altro che apparenza. Evitando di allinearci alla versione più estrema di queste due visioni e percorrendo la strada di una sana via di mezzo, è doveroso ammettere che alcune scelte teatrali, seppur di grande impatto, sono risultate poco coerenti con ciò che Puccini e i librettisti desideravano. Un perfetto esempio è nel finale del secondo atto, dove il libretto descrive con molta cura, quasi con ridondante pignoleria, i gesti che Tosca deve compiere prima di lasciare la stanza in cui ha appena commesso l’omicidio. La diva, dopo aver ucciso Scarpia «si avvia per uscire, ma si pente», e pertanto compie una sequenza di azioni religiose minuziosamente descritte nel libretto: inginocchiarsi religiosamente, collocare due candele ai lati del cadavere e posare un crocifisso sul suo petto. L’immagine di Tosca che traspare dal testo è quella di una donna pia e legata alla fede (caratteristiche sottolineate frequentemente dal libretto nel primo atto) che, dopo aver coraggiosamente ucciso un uomo per salvare se stessa e il suo amore, non riesce a lasciare la stanza senza prima rendere un omaggio funebre al cadavere disteso a terra, anche se il morto in questione è l’uomo che senza scrupoli poco prima aveva cercato di abusare di lei. La fede sincera di Tosca la obbliga quasi inconsciamente a credere nella possibilità di redenzione davanti a Dio, anche per un uomo egoista e malvagio come Scarpia. Livermore, al contrario, nella sua personalissima interpretazione ha proposto una Tosca desiderosa di vendetta, che non ha avuto alcuna esitazione o ripensamento dopo aver affondato il coltello, e che, in modo molto cruento e decisamente fuori dal personaggio, ha strangolato Scarpia finché non ha avuto la certezza che l’uomo fosse definitivamente privo di vita. Qualche attimo dopo, quando la cantante era già lontana dal cadavere, Livermore ha pensato di utilizzare una controfigura, che attraverso un gioco di luci è apparsa improvvisamente, immobile con il coltello puntato verso il corpo disteso di Scarpia, per simboleggiare forse la rappresentazione materiale della coscienza della donna nel momento in cui si rende conto dell’azione che ha appena compiuto. Una rilettura con un’enorme carica emotiva, ma davvero lontana da ciò che traspare dal libretto. I 45 secondi La controfigura viene impiegata una seconda volta nella scena ultima dell’opera, quando Livermore ha dovuto confrontarsi con i 45 secondi di musica aggiuntivi che caratterizzano la prima versione di Tosca, quella non ancora abilmente revisionata e tagliata in alcuni punti dallo stesso Puccini. La scelta di proporre la versione d’esordio dell’opera (anche quando è stato lo stesso compositore a scegliere di apportare delle modifiche alla partitura), è stata una buona idea per portare una ventata di novità in un’opera che il melomane appassionato conosce a memoria, ma sempre restando ancorati alla tradizione. D’altro canto non tutti hanno apprezzato questa proposta, dato che ogni taglio è stato studiato dal compositore per un preciso motivo, e il tentativo del Maestro Chailly di mettere in evidenza i ripensamenti di Puccini e dare valore a questi piccoli frammenti rinnegati dall’autore stesso, non è stato sufficientemente chiaro da essere inequivocabilmente compreso da tutti. La seconda apparizione – in questo caso è il termine più appropriato – della controfigura è un punto cruciale utile al giudizio complessivo della regia di Livermore. Messo alle strette da questo tempo teatrale supplementare in cui scenicamente non accade nulla, la soluzione che il regista adotta per rendere interessante questo “momento vuoto” è di far ascendere lo spirito di Tosca dopo il suicidio della donna. La controfigura dal lunghissimo vestito svolazzante viene trainata verso l’alto mentre si trova al centro di fasci di luce intersecati, che ne accentuano il movimento ascendente. In sala l’immagine è risultata davvero d’impatto, perché in Teatro la scena è vista da lontano nella sua totalità. In televisione l’effetto di ascensione si è perso totalmente a causa delle riprese Rai che hanno tenuto fisso un primo piano sulla bocca spalancata di Tosca-controfigura, in un grido disperato. L’urlo di Tosca Inquadrare il volto di una controfigura è di per sé poco sensato, dato che si presuppone abbia le sembianze dell’attore di cui fa le veci, ma perdere la totalità dell’immagine in una scena con un gioco di luci mozzafiato è totalmente insensato, oltre che un vero peccato. La scelta di portare l’attenzione di milioni di telespettatori sull’espressione contratta dalla disperazione della ragazza è stato privativo per il pubblico e ha contribuito alla valutazione mediocre di una scena che in presenza è risultata eccellente. Un primo piano su un urlo fuori contesto: perché quando Tosca muore è distrutta ma serena, non ha nemmeno il tempo di assimilare la notizia dell’uccisione del suo Cavaradossi e di rendersi conto che Scarpia ha tradito il patto, che come un riflesso incondizionato schiacciata dal dolore si getta nel vuoto, ma con il suo amato negli occhi, dando fine a una sofferenza che non ha nemmeno avuto modo di metabolizzare. Il grido che Puccini affida a Tosca è lancinante ma silenzioso e soprattutto molto intimo: lo spettatore ha tutti gli elementi necessari per immaginarlo ma non per sentirlo perché la diva non si scompone a mostrarglielo. L’urlo utilizzato da Livermore è invece così reale, anche nel suo silenzio è forte e deciso, e sicuramente non può provenire da una donna annientata nel suo essere, una donna che dopo ciò che ha vissuto impiega le sue ultime forze per compiere un gesto estremo. I costumi La controfigura non è stato il solo elemento di dualismo che ha caratterizzato il personaggio di Tosca nella rilettura di Davide Livermore. Un chiaro esempio è stato il vestito da sera che la diva ha indossato nel secondo e nel terzo atto: per metà azzurro e per metà rosso. Nel contrasto dei colori, l’azzurro è la Tosca pura e ingenua del primo atto, quella che «è buona, ma al confessor nulla tiene celato», il rosso, che in altre regie è solo l’avvertimento di una morte ormai prossima, in quella di Livermore è la scoperta di un carattere che la diva mette alla luce nelle situazioni tragiche, quando cerca di essere forte per amor del suo Mario. Analizzando i costumi, è difficile non notare una presente somiglianza tra quelli degli ufficiali di Scarpia impiegati per Tosca e i costumi del novecento distopico immaginato dallo stesso Livermore per l’Attila. Il regista nel 2018 non ha dichiarato esplicitamente che nella sua rilettura dell’opera di Verdi gli scontri rappresentati fossero quelli tra nazi-fascisti e partigiani, ma era comunque molto evidente. Il riferimento nel 2019 non è stato così esplicito ma la giusta idea di Livermore prosegue: «i veri cattivi sono quelli». Possiamo ritrovare un richiamo agli orrori del novecento in questa Tosca anche quando Cavaradossi viene picchiato dagli ufficiali di Scarpia vestiti di nero, che hanno ricordato la violenza delle camicie nere in epoca fascista. Attori… Scelte sceniche, errori e dubbi a parte, è stato bello vedere in Scala un’opera in cui i cantanti sono stati diretti come degli attori. La presenza scenica di tutti i protagonisti è stata davvero di notevole livello (Anna Netrebko in questo è stata spettacolare). La regia di Livermore è ciò che ha dato carattere a questa rappresentazione, è stata la personalità di questa Tosca. La cultura operistica del 7 dicembre è arrivata al punto che l’aspetto teatrale e recitativo si è presentato migliore di quello musicale: bravura del regista e dei cantanti in veste di attori, ma anche troppe imprecisioni musicali … Leggi tutto REWIND – Tosca, 7 dicembre 2019