Le opere di Andrea Nicolato sono dense di senso e di significati, di profondità abissale, sono spessi passaggi verso luoghi fatti di ombre: osservarle significa ammutolire innanzi a silenzi inspiegabili che celano la profondità dell’essere nelle sue più complesse e tragiche sfaccettature. L’autore nasce artisticamente come illustratore – genesi che lui stesso rivela nella recente intervista rilasciata per Intermezzo – ma, nel corso degli anni, si trova a confrontarsi la finitudine della forma, che gli si dimostra come troppo limitata per arrivare all’ inspiegabile, troppo incompleta per parlare dell’assoluto che l’artista ricerca. Non è il simbolo, infatti, quello che descrive l’artista; quanto più un idioma pittorico che si faccia via intermedia per smuovere l’interiorità di chi l’osserva, e che gli fornisca al contempo la possibilità di parlare con la materia attraverso una lingua diversa, più adeguata al dialogo che la mera parola. La sensibilità innata che contraddistingue Nicolato necessita di mezzi di espressione più consoni all’immaterialità in cui svolge la sua indagine; ed è così che, nella consistenza del colore, l’eco del caos primordiale prende una forma pittorica. I suoi quadri sono archetipali sintesi di assoluto, dialoghi con la radicale ed irriducibile natura umana, nella sua straziante sofferenza. L’autore, con le sue tele e i suoi colori ombrosi, mette di fronte alla realtà di ciò che è l’uomo, nella sua natura – per sua natura. La serie “Archetipo”, costituita in prevalenza da impressioni antropomorfe, rivela sia lo spessore di questa ricerca, sia le fonti figurative che la prefigurano: la tipologia tradizionale dell’autoritratto d’artista, così satura di sperimentazioni nel corso della storia, viene indagata in forma prettamente espressionista. Siamo così spettatori di violente linee corvine che si intrecciano e fondono sulla tela chiara, annodandosi, dibattendosi caoticamente, e lasciando indovinare i tratti di volti e di espressioni celate. Progredendo nella serie è il colore ad invadere lo spazio e a divorarne la figura, assimilandolo nella sua materialità. Il volto diviene materia, la materia diviene volto: spigolosi tratti e pennellate istintive, acuti fendenti che sanno squarciare il velo della rappresentazione, arrivando all’animo dell’osservatore e non solo. Un’inquietudine, ed uno slancio alla ricerca della pulsione prendono vita dal conflitto dei tratti che sulla tela delineano immagini acuminate, quasi similari a lontane apparizioni, affini allo stile di Kirchner anche nella scelta di toni cupi e poco saturi. Tuttavia, è nelle opere astratte che Nicolato apre uno squarcio irriducibile sull’oscuro, una voragine che chiama lo spettatore nel suo ventre, al cospetto dei suoi stessi silenzi. L’artista sperimenta composizioni ritmicamente geometriche nella serie di opere “Pietre”. In esse, le campiture bidimensionali rivelano lo studio dell’esperienza astrattista e costruttivista russa associata alle enigmatiche sovrapposizioni tonali di Rotchko. Una sintesi che si dispone come stasi apparente, ma che coagula una iniziatica esperienza di dialogo in sé e con sé, veicolando assieme un sentore di quiete e smarrimento al contempo, tra la solidità della forma geometrica e l’incertezza del perdersi tra le mille velature cromatiche a tratti emergenti dalla superficie. I colori divengono masse fluide che si corrodono a vicenda, dibattendosi per emergere in sporadiche apparizioni che incrinano l’uniformità superficiale. Con grande padronanza dell’esperienza non-oggettuale, l’artista si rivolge anche verso opere astratte dal suono più organico che ben si contrappongono formalmente alle rigide composizioni precedentemente descritte. La serie dedicata al tracotante Prometeo prosegue nell’indagine legata all’incontro tra linee, separandosi definitivamente e dalla figurazione iniziale e dal vincolo geometrico non figurativo, per concedersi a un moto ventoso che parla di tempesta. Ed è così che l’irruenza pura si scaglia nel tratto che cola sulla tela, la cui superficie resta ancora ben leggibile, in un gioco eterno tra caos e quiete sovrasensibile. Ogni opera chiama a sé un trattamento unico della tela, così come il soggetto prescelto richiede una forma sempre nuova e diversa. Perciò, se i Prometeo sono fuochi neri incalzanti sulla superficie grezza, impressioni di fumo che tendono a riversarsi verso il cielo, vestiti solo di vaghe impressioni acquarellate, opere come Pareti di Carne rivelano una lavorazione più materica. Il che, per quanto egualmente non-oggettuale, delinea qui un caos più uniforme che si espande da un nucleo vagamente decentrato e che convoglia l’attenzione di chi la osserva in un labirinto composto di pareti filamentose e scaglie pittoriche poste su piani differenti. È la magistrale opera della Pietà a chiudere le danze, in attesa delle nuove sperimentazioni dell’artista: un ritorno alla figurazione espressionistica saturo di un sentimento di drammatico pathos silente. Questo soggetto non ci parla infatti di una sofferenza barocca, ma piuttosto di un dolore composto, di un abbandono lento nella morsa del dolore. É una discesa carica di desolazione. La Madonna prende posto al centro della composizione, aureolata di cremisi, sembra liquefarsi nella sua stessa sofferenza. Occhi socchiusi e un’espressione amara disegnata sul volto. La madre regge il figlio che sembra tuttavia tendere altrove, così come il braccio abbandonato (sapiente ricordo di antiche Pietà) trascina il corpo verso l’abisso, concludendo idealmente il moto che racchiude tutta la composizione. La contrapposizione cromatica tra il blu e il vermiglio riluce malgrado i toni siano spenti e poco saturi; tale scelta, e cioè del dualismo blu-rosso, rimanda al tradizionale linguaggio simbolico destinato alla veste della madonna e del Cristo, allusivo della duplice natura umana e al contempo divina. La produzione di Nicolato parla una lingua atavica, capace di tradurre simboli inconsci e privi di una forma definita in materia pittorica e plasticamente cromatica: i suoi quadri si prefigurano come singolari crepe verso il mondo ctonio dell’interiorità; energia che spinge in una discesa che è oscuro desiderio di profondità agognata. https://www.arateacultura.com/ https://www.instagram.com/andrea_nicolato_/
Campiture – Commento critico alle opere di Andrea Nicolato
Le opere di Andrea Nicolato sono dense di senso e di significati, di profondità abissale, sono spessi passaggi verso luoghi fatti di ombre: osservarle significa ammutolire innanzi a silenzi inspiegabili che celano la profondità dell’essere nelle sue più complesse e tragiche sfaccettature. L’autore nasce artisticamente come illustratore – genesi che lui stesso rivela nella recente intervista rilasciata per Intermezzo – ma, nel corso degli anni, si trova a confrontarsi la finitudine della forma, che gli si dimostra come troppo limitata per arrivare all’ inspiegabile, troppo incompleta per parlare dell’assoluto che l’artista ricerca. Non è il simbolo, infatti, quello che descrive l’artista; quanto più un idioma pittorico che si faccia via intermedia per smuovere l’interiorità di chi l’osserva, e che gli fornisca al contempo la possibilità di parlare con la materia attraverso una lingua diversa, più adeguata al dialogo che la mera parola. La sensibilità innata che contraddistingue Nicolato necessita di mezzi di espressione più consoni all’immaterialità in cui svolge la sua indagine; ed è così che, nella consistenza del colore, l’eco del caos primordiale prende una forma pittorica. I suoi quadri sono archetipali sintesi di assoluto, dialoghi con la radicale ed irriducibile natura umana, nella sua straziante sofferenza. L’autore, con le sue tele e i suoi colori ombrosi, mette di fronte alla realtà di ciò che è l’uomo, nella sua natura – per sua natura. La serie “Archetipo”, costituita in prevalenza da impressioni antropomorfe, rivela sia lo spessore di questa ricerca, sia le fonti figurative che la prefigurano: la tipologia tradizionale dell’autoritratto d’artista, così satura di sperimentazioni nel corso della storia, viene indagata in forma prettamente espressionista. Siamo così spettatori di violente linee corvine che si intrecciano e fondono sulla tela chiara, annodandosi, dibattendosi caoticamente, e lasciando indovinare i tratti di volti e di espressioni celate. Progredendo nella serie è il colore ad invadere lo spazio e a divorarne la figura, assimilandolo nella sua materialità. Il volto diviene materia, la materia diviene volto: spigolosi tratti e pennellate istintive, acuti fendenti che sanno squarciare il velo della rappresentazione, arrivando all’animo dell’osservatore e non solo. Un’inquietudine, ed uno slancio alla ricerca della pulsione prendono vita dal conflitto dei tratti che sulla tela delineano immagini acuminate, quasi similari a lontane apparizioni, affini allo stile di Kirchner anche nella scelta di toni cupi e poco saturi. Tuttavia, è nelle opere astratte che Nicolato apre uno squarcio irriducibile sull’oscuro, una voragine che chiama lo spettatore nel suo ventre, al cospetto dei suoi stessi silenzi. L’artista sperimenta composizioni ritmicamente geometriche nella serie di opere “Pietre”. In esse, le campiture bidimensionali rivelano lo studio dell’esperienza astrattista e costruttivista russa associata alle enigmatiche sovrapposizioni tonali di Rotchko. Una sintesi che si dispone come stasi apparente, ma che coagula una iniziatica esperienza di dialogo in sé e con sé, veicolando assieme un sentore di quiete e smarrimento al contempo, tra la solidità della forma geometrica e l’incertezza del perdersi tra le mille velature cromatiche a tratti emergenti dalla superficie. I colori divengono masse fluide che si corrodono a vicenda, dibattendosi per emergere in sporadiche apparizioni che incrinano l’uniformità superficiale. Con grande padronanza dell’esperienza non-oggettuale, l’artista si rivolge anche verso opere astratte dal suono più organico che ben si contrappongono formalmente alle rigide composizioni precedentemente descritte. La serie dedicata al tracotante Prometeo prosegue nell’indagine legata all’incontro tra linee, separandosi definitivamente e dalla figurazione iniziale e dal vincolo geometrico non figurativo, per concedersi a un moto ventoso che parla di tempesta. Ed è così che l’irruenza pura si scaglia nel tratto che cola sulla tela, la cui superficie resta ancora ben leggibile, in un gioco eterno tra caos e quiete sovrasensibile. Ogni opera chiama a sé un trattamento unico della tela, così come il soggetto prescelto richiede una forma sempre nuova e diversa. Perciò, se i Prometeo sono fuochi neri incalzanti sulla superficie grezza, impressioni di fumo che tendono a riversarsi verso il cielo, vestiti solo di vaghe impressioni acquarellate, opere come Pareti di Carne rivelano una lavorazione più materica. Il che, per quanto egualmente non-oggettuale, delinea qui un caos più uniforme che si espande da un nucleo vagamente decentrato e che convoglia l’attenzione di chi la osserva in un labirinto composto di pareti filamentose e scaglie pittoriche poste su piani differenti. È la magistrale opera della Pietà a chiudere le danze, in attesa delle nuove sperimentazioni dell’artista: un ritorno alla figurazione espressionistica saturo di un sentimento di drammatico pathos silente. Questo soggetto non ci parla infatti di una sofferenza barocca, ma piuttosto di un dolore composto, di un abbandono lento nella morsa del dolore. É una discesa carica di desolazione. La Madonna prende posto al centro della composizione, aureolata di cremisi, sembra liquefarsi nella sua stessa sofferenza. Occhi socchiusi e un’espressione amara disegnata sul volto. La madre regge il figlio che sembra tuttavia tendere altrove, così come il braccio abbandonato (sapiente ricordo di antiche Pietà) trascina il corpo verso l’abisso, concludendo idealmente il moto che racchiude tutta la composizione. La contrapposizione cromatica tra il blu e il vermiglio riluce malgrado i toni siano spenti e poco saturi; tale scelta, e cioè del dualismo blu-rosso, rimanda al tradizionale linguaggio simbolico destinato alla veste della madonna e del Cristo, allusivo della duplice natura umana e al contempo divina. La produzione di Nicolato parla una lingua atavica, capace di tradurre simboli inconsci e privi di una forma definita in materia pittorica e plasticamente cromatica: i suoi quadri si prefigurano come singolari crepe verso il mondo ctonio dell’interiorità; energia che spinge in una discesa che è oscuro desiderio di profondità agognata. https://www.arateacultura.com/ https://www.instagram.com/andrea_nicolato_/